sabato 28 novembre 2009
Sari Nusseibeh
L'intellettuale palestinese rompe il tabù. La Spianata ? Sacra prima agli ebrei
GERUSALEMME — L’invito alla prima era una mail inviata con largo anticipo. E a largo raggio: «In occasione della presentazione della raccolta di ricerche storiche 'Dove Cielo e Terra s'incontrano', presso L'École Biblique di Gerusalemme, interverranno gli autori...». Un'occasione: non sempre capita che vicino alla Porta di Damasco si trovino a discutere studiosi israeliani e palestinesi. Un’occasione unica: fra quegli autori, era annunciato anche Sari Nusseibeh. L'Amos Oz arabo. La coscienza di Gerusalemme est che mai tace. O quasi mai: rispettoso del pubblico accorso, Nusseibeh non ha declinato l'invito. S'è presentato puntuale nel giardino dell'École. S'è accomodato in platea. Ma quand'è venuto il suo turno, chiamato a spiegare il capitolo che aveva scritto, dove sostiene quel che nessun arabo sosterrebbe e cioè che gli ebrei hanno più d'una ragione per celebrare la loro memoria nel cuore di Gerusalemme, lì Nusseibeh ha esercitato il diritto al silenzio. Riluttante. Forse spaventato. Ha sorriso, s'è protetto con una mano, se l'è cavata con quattro parole — «mi spiace, non posso» — e se n'è andato.Ha detto l'indicibile, il professor Nusseibeh. Il suo studio s'intitola «Al-Haram Al-Sharif», come i musulmani chiamano la Spianata delle Moschee e il luogo dell'assunzione in cielo del Profeta, lo stesso che per gli ebrei è il Monte del Tempio, l'angolo di mondo più conteso fra le grandi religioni. Nusseibeh — presidente dell'Al Quds University, «il palestinese più pericoloso della Terra» secondo la definizione (e l'omaggio) d'un destrorso israeliano come Reuvlen Rivlin — in poche decine di pagine argomenta una tesi rivoluzionaria e senza precedenti, per la bocca che l'esprime: c'è un legame storico e documentato fra gli ebrei e la Spianata, dice, la tradizione biblica va riconosciuta, così com'è innegabile l'esistenza del Tempio in quel punto. E i musulmani? Per Nusseibeh, Maometto giunse dov'è ora l'Al Aqsa proprio perché era già una città sacra agli ebrei e ai cristiani, «il suo viaggio aveva lo scopo di fondere Ebraismo e Islam, unire tutti i veri fedeli dell'Unico Dio». Naturalmente, nel saggio si dice pure che tutto questo non giustifica l'atteggiamento degli ebrei ultraortodossi quando respingono il culto della Spianata. E non può passare nemmeno «il reciproco rifiuto dell'archeologia dell'altro » che quotidianamente si consuma sulle pietre di Gerusalemme.Ma per qualcuno, su quel libro c'è già scritto troppo. Ci sono state minacce di morte di fondamentalisti islamici, dicono i colleghi, soprattutto per la collaborazione accademica con un istituto israeliano, Yad Ben Zvi: ecco spiegata la ragione del silenzio all’École, il rifiuto d'interviste, nonostante una delle collaboratrici dello studioso, Hoda Rajani, s'affanni a spiegare che «il professore non ha voluto parlare solo perché era un po' stanco». A 60 anni, questo sì, Nusseibeh è stanco.Siriano di nascita, di ricca famiglia terriera, studi a Oxford e Harvard, moglie inglese, ha impegnato il suo rispettato nome nelle battaglie più scomode: rappresentante dell'Anp a Gerusalemme, quand'era da raccogliere l'eredità di Faisal Husseini, e contemporaneamente vicino ai laburisti di Ami Ayalon; docente alla Hebrew University e intanto anima della Bir Zeit, l'università delle intifade; avverso ad Arafat e, insieme, primo a dialogare con la destra Likud; accusato dagl'israeliani, e per questo incarcerato, e apertamente contrario alla strategia dei kamikaze; vicino a Peace Now e intanto malmenato nei vicoli bui della casbah... Osa spesso verità scorrettissime: «Gerusalemme è persa — disse l'anno scorso, facendo imbestialire Abu Mazen —. Gaza è persa. C'è rimasta solo Ramallah. In un panorama di corruzione e d'inefficienza». Rompere il tabù dei tabù, ora, gli costa in tranquillità. Ma è una catarsi: «Mi sento prigioniero di Gerusalemme — è la sua idea — e piano piano me ne voglio liberare. L'enfasi dei simboli e delle pietre ha ridotto al minimo le persone». Il Monte del Tempio, ma anche il Santo Sepolcro: da secoli, su mandato ottomano, è alla famiglia Nusseibeh che spetta aprire e chiudere il portone di legno della Basilica, ogni giorno. Una volta, la chiave del luogo santo l'ha maneggiata anche lui. Ma per poco. Il professore, lo ritrae il giornale Ma'ariv , ha solo un modo per sopravvivere dove Cielo e Terra s'incontrano: scrivere e poi svanire, perché un bel tacer non fu mai scritto. Corriere della Sera, 28 novembre 2009
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