giovedì 17 dicembre 2009
Hanukkah, un'occasione per riflettere
“Appaio, dunque sono” - questa è la formula in cui sembra racchiudersi oggi l’esistenza. Nel vuoto effimero dell’apparire ciascuno cerca il riconoscimento che pensa di non avere, di cui si sente in credito verso gli altri. Ma questo riconoscimento, del tutto esteriore, è destinato a dileguarsi immediatamente. Così ricomincia la corsa, spietata e inesorabile, con il tempo che morde alle calcagna e i gomiti degli altri che impediscono di andare avanti. Le maratone che si svolgono nelle metropoli - da New York a Sidney - non sono che una metonimia della vita contemporanea. Vinta o persa una prova, la prossima si affaccia inesorabile all’orizzonte. Sottrarsi per volontà, impossibilità, incapacità, vuol dire in genere cadere nella “depressione” - parola generica che indica il malessere dell’anima di cui sembra siano in milioni a soffrire. La vita è scandita da prove in cui attraverso una performance il più possibile brillante occorre farsi valere, dimostrare agli altri la propria bravura, competenza, abilità. Questa esasperata ricerca di un certificato di esistenza si svolge nel segno di una malcelata ostilità. Come potrebbe essere diversamente in una megacompetizione? L’altro serve solo per attestare che apparendo e brillando valiamo, contiamo - cioè siamo legittimati ad esistere anche ai nostri occhi.Queste luci della ribalta si spengono d’un tratto, come d’un tratto si sono accese. Sono luci della chitzoniùt, della esteriorità e della superficialità. Per il resto lasciano nel buio. I giorni di Hanukkah potrebbero essere l’occasione per accendere le luci interiori della penimiùt, per fermarsi di fronte alle candele e guardare a quel punto interiore che attende in ciascuno di essere riscoperto.Donatella Di Cesare, filosofa, http://www.moked.it/
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)

Nessun commento:
Posta un commento