martedì 1 dicembre 2009



Vittorio Foa

Vittorio Foa, protagonista del Novecento

“Una cerimonia che non aveva nulla di cerimonioso”. Questo il commento di Anna Foa all'uscita dalla Sala Rossa del Comune di Torino, dove ieri è stato commemorato suo padre, Vittorio Foa. È la sua Torino che lo ricorda, con l'affetto sincero che si prova per i propri figli. Il profondo legame che ebbe con la sua città ha lasciato un segno indelebile nei cuori dei torinesi, che già nel 1998 gli conferirono la cittadinanza onoraria. “Non si può capire né conoscere Vittorio senza Torino”, dice un suo amico e compagno di tante battaglie politiche e sindacali, il senatore del Partito Democratico Pietro Marcenaro. “Torino è il fulcro di tutta la sua esperienza - continua Marcenaro. La Torino del liceo classico D'Azeglio, prolifica culla di grandi intellettuali. La Torino azionista, antifascista, quella di Bobbio e Galante Garrone, di Gobetti e Ginzburg. Poi la Torino delle fabbriche, delle grandi lotte sindacali. Ma anche la Torino delle montagne: per tutta la vita Vittorio Foa amò ritirarsi tra le Alpi piemontesi e valdostane a recuperare le energie, fisiche, morali e intellettuali”. Anche il sindaco Sergio Chiamparino chiama in causa l'identità peculiare del suo concittadino onorario: “Vittorio era un esponente dell'anima culturale dell'azionismo torinese, caratterizzata da una grande moralità e soprattutto sobrietà, un valore che ancora oggi fa di quella generazione di uomini politici e intellettuali un punto di riferimento imprescindibile”. Il compito di ripercorre la vita di Vittorio Foa ,per forza di cose a grandi balzi, è affidato al presidente del Consiglio Comunale Beppe Castronovo: “Nato nel 1910, maturò già negli anni del liceo un'intensa passione politica. Conseguita la laurea in giurisprudenza, nel 1933 entrò in Giustizia e Libertà, movimento antifascista, progenitore del Partito d'Azione (PdA). A venticinque anni - continua Castronovo - fu arrestato per la sua attività politica; rimase in carcere fino al 1943. Appena liberato prese parte alla Resistenza. Fu poi tra i padri costituenti, eletto nelle file del PdA. Fu deputato, senatore e sindacalista, e per un breve periodo anche consigliere comunale a Torino. Divenne segretario nazionale della FIOM e fu uno dei massimi teorici della linea politica dell'autonomia operaia. Entrò nel Partito Socialista Italiano, poi aderì alla scissione a sinistra del Partito Socialista di Unità Proletaria e ne divenne dirigente nazionale. L'idea di Foa era quella di creare una forza politica che orientasse i gruppi rivoluzionari verso una prospettiva di “governo delle sinistre”. Fu poi tra i promotori, negli anni settanta, della lista unica della nuova sinistra, Democrazia Proletaria, dove io ebbi l'onore di conoscerlo e di lavorarci assieme. Nel 1987 fu eletto senatore come indipendente nelle liste del Partito Comunista. Fu un grande maestro - conclude Castronovo - in tanti anni di militanza politica agì sempre nel più assoluto disinteresse; era un intellettuale coerente e concreto, ricercava la verità oltre gli steccati politici, mantenne sempre la sua autonomia di pensiero rispetto ai grandi partiti di massa”.Un tema che gli fu assai caro è, nelle parole del sindaco Chiamparino, “un'incomprimibile tensione verso la libertà di pensiero”. “Un suo grande insegnamento - spiega Marcenaro, che passa in rassegna alcuni punti centrali della riflessione di Foa - è che non c'è mai un solo sguardo possibile, che in ogni questione c'è sempre un altro lato, occultato dalla retorica e dagli schemi stereotipati. Il compito degli intellettuali deve essere proprio quello di squarciare il velo di retorica che avvolge la realtà ed esaminarne ogni sfaccettatura. Non c'è nulla, per Vittorio Foa, da combattere con altrettanta tenacia che la politica intesa come adesione acritica alle idee di un leader o di un partito”.“Si dice che Vittorio era un inguaribile ottimista, continua Marcenaro. Io più che di ottimismo parlerei di fiducia nelle persone, e nelle potenzialità della loro libertà: non c'è democrazia senza fiducia. C'è anche però una lucida consapevolezza dei limiti dell'azione dell'uomo; diceva sempre: 'Fai quel che devi, succederà quel che può'”.Si vuole ricordare anche il facile rapporto che aveva con i giovani. Vittorio Foa instaurava con loro un dialogo paritario, non riteneva che l'esperienza di un anziano fosse in qualche modo gerarchicamente superiore a quella di un ragazzo: “È la reciprocità che distingue la comunicazione dalla propaganda”, diceva. In questo non solo non perdeva, ma acquistava autorevolezza.“Seppe vivere - continua Marcenaro - l'esperienza carceraria come un uomo libero, si evince dai suoi scritti di quel periodo: non c'è traccia di vittimismo. Anzi, fu infastidito dalle lamentele dei terroristi in carcere: c'è una grande e sostanziale differenza tra stare in prigione sapendo di avere ragione e starci nella consapevolezza del torto.”Non si può certo dimenticare, infine, la sua lunga attività sindacale: il radicamento nel mondo del lavoro è, per Foa, la raison d'être della sinistra politica, una profonda comprensione della condizione operaia. “Non ripeteva mai - ricorda Marcenaro - le sterili, seppur sacrosante, denunce, bensì guardava sempre al futuro, scommetteva sulle nuove generazioni operaie. Un'altra grande lezione che ci ha trasmesso è l'unità sindacale come cultura, non solo come scelta politica: l'unità è la condizione essenziale per l'azione, diceva sempre, nessun compromesso è troppo grande”. È un insegnamento mutuato dall'esperienza del CLN. “Ancora poco prima di lasciarci, il giorno del suo ultimo compleanno, invitò per un caffè i segretari dei tre maggiori sindacati italiani, CGIL, CISL e UIL. Era un obiettivo in cui credeva molto”.La città di Torino e le sue autorità hanno voluto ricordare, di fronte ad un pubblico partecipe e commosso, uno degli ultimi grandi uomini della Repubblica. Antifascista fino al midollo, fiero e convinto democratico, Vittorio Foa è stato un indimenticabile maestro per tutti coloro che l'hanno conosciuto più o meno direttamente. Ha mostrato come un grande intellettuale possa davvero essere vicino ai problemi della gente comune, e come una salda moralità non possa che ispirare un impegno civile onesto e disinteressato. Ha insegnato come l'equità sociale non solo possa, ma necessariamente debba essere congiunta alla libertà.Manuel Disegni,http://www.moked.it/

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