mercoledì 16 dicembre 2009
Wounded Arab Legionnaire is carried by civilian volunteers. Jerusalem. May 1948
Storia di Rina, reporter in prima linea.Dall’attentato a Rabin all’incontro con Arafat
Dall’attentato a Rabin all’incontro con Arafat a Tunisi, a Sharon... Lei era lì, presente: Rina Masliah, regina nelle news, analista politica e anchor-woman della tv israeliana Canale2 ci racconta i momenti clou della recente storia d’Israele. Per strada, spesso la fermano per scambiare qualche battuta. Nel caffé dove la incontriamo, polarizza l’attenzione degli avventori. Rina Masliah, reporter ed analista politica della televisione commerciale Canale 2 è fra i principali “opinion makers” di Israele. Ha iniziato la carriera dal basso, alla fine degli anni Ottanta, come prima cronista radiofonica femminile dai roventi stadi di calcio. Poi ha seguito il Capo dello Stato, le lotte dei coloni, il parlamento, la vita dei partiti. Il suo timbro di voce, venato da una lieve inflessione francese, è inconfondibile. I suoi giudizi sono richiesti sovente anche dai colleghi di altri mezzi di comunicazione. Masliah ha accolto di buon grado di tornare col pensiero - per il Bollettino - ai critici anni 1993-95, sospesi fra gli accordi di Oslo e l’uccisione di Yitzhak Rabin, e alla notte del dicembre 2005 in cui Sharon fu ricoverato in condizioni gravi in un ospedale di Gerusalemme. Episodi in cui era in prima linea, armata di un microfono e di una grande passione umana. Tutte le volte di Rina Tunisi - Vigilia della firma degli accordi di Oslo, settembre 1993.Come accadde che fosti fra i primi giornalisti israeliani ad incontrare Yasser Arafat a Tunisi nei giorni precedenti la firma degli accordi di Oslo?Per noi israeliani l’ingresso a Tunisi non era affatto facile. Io lavoravo a Kol Israel (la radio di Stato) e un mio collega aveva cercato invano di trovare un contatto a Tunisi. Ormai il tempo stringeva: andai allora dal mio direttore, gli feci presente che disponevo anche di un passaporto francese e forse la cosa sarebbe servita per aprirci un ingresso. Attraverso Ahmed Tibi (esponente politico arabo israeliano, allora vicino al presidente Ezer Weizman) seppi che l’Olp mi aspettava e che non dovevo fare altro che salire sul primo aereo...All’aeroporto Ben Gurion, alla partenza, c’era schierata tutta la mia famiglia con la eccezione di mio padre, che era purtroppo mancato alcuni anni prima. La nostra eccitazione era indescrivibile. Decenni prima avevamo lasciato la Tunisia con la certezza che non vi avremmo mai più fatto ritorno, che fosse per noi un Paese perduto. Indossavo gioielli di mia zia, la sorella maggiore di mia madre, morta in Tunisia e il cui luogo di sepoltura era ignoto. Al decollo, avevo la sensazione che in un certo senso stavo anche per farle visita…Sbarcati a Tunisi, il tecnico ed io fummo fatti uscire dalla fila dei passeggeri. Eravamo infatti ospiti dell’Olp, che a quanto pareva agiva là come uno Stato nello Stato. Presto venne fuori che ero natia della Tunisia. È quasi incredibile il calore che la cosa generò. In arabo ero “Bint-Biladi”, la figlia del villaggio: da quel momento fui tenuta nella massima cura. Nelle voci dei passanti sentivo l’arabo parlato da mia nonna. Il cibo aveva sapore di casa. La mia emozione non aveva limite... Poi arrivammo all’Hotel Hilton. Alla reception ci informarono che noi, inviati della radio di Stato israeliana, avevamo diritto ad una tariffa molto ridotta grazie “allo sconto dell’Olp”. Sembrava di sognare. Ogni giorno in quell’albergo c’erano conferenze stampa dei consiglieri di Arafat, Yasser Abed Rabbo, Bassam Abu Sharif, Jibril Rajub. Quest’ultimo in particolare fraternizzò con i giornalisti israeliani: la sera, dopo il lavoro, andavamo a mangiare tutti assieme. Alla mia partenza Jibril insistette per portare le mie valigie fin dentro l’aereo.Arafat, come sua abitudine, ci ricevette alle tre del mattino. Le perquisizioni furono severe. Ma una volta al suo cospetto, fu molto cordiale, aperto. Alcuni giorni dopo sarebbe stato a Washington per la firma degli accordi con Yitzhak Rabin e Shimon Peres. Io rimasi a Tunisi per descrivere agli israeliani le reazioni dei palestinesi. La sensazione era che israeliani e palestinesi avevano finalmente trovato il modo di comprendersi, che d’ora in poi sarebbero stati dalla medesima parte della barricata. Poi però mi ritagliai il tempo per la cosa che mi stava più a cuore: la ricerca della tomba di mia zia. Non ci riuscii. Ma la comunità ebraica locale mi “adottò” e mi fece vedere la casa dove ero nata. Intanto in Israele la comunità degli ebrei originari di Tunisi era in subbuglio: ero diventata la prova vivente che il ritorno ai luoghi della infanzia era adesso possibile. La commozione era forte. Sarei stata a Tunisi due settimane e mezzo: ricordo che o ero impegnata a trasmettere, o ero travolta dalle emozioni personali. L’esperienza più sconvolgente della mia vita.Hebron - Strage alla Tomba dei Patriarchi, febbraio 1994 Pochi mesi dopo, inviata dalla appena costituita televisione commerciale, tu eri a Hebron, in Cisgiordania, a tu per tu con colui che si accingeva a compiere la strage nella Tomba dei Patriarchi… Seguivo la visita di Weizman nell’insediamento di Kiryat Arba, presso Hebron. Di fronte alla sede del Consiglio municipale si era organizzata una manifestazione di protesta contro di lui, in quanto “colomba”, fautore degli accordi con l’Olp. I dimostranti indossavano polemicamente una stella gialla. Fra loro si distingueva la figura di un uomo alto, che urlava slogan ad alta voce. Mi dissero che era il medico di Kiryat Arba. Pochi giorni dopo, saranno state le cinque del mattino, suona il “beeper” (cercapersone) e mi informa di spari a Hebron. Mi rivolto nel letto; ma pochi minuti dopo un primo aggiornamento parla di 15 morti. (Il bilancio definitivo dei morti sarebbe stato di 29 palestinesi uccisi e 129 feriti. L’attentatore fu linciato dai palestinesi - a.b.). Il mio collega Yoram Binur ed io raggiungiamo Hebron. Là mi viene spiegato che l’attentatore è il dottor Baruch Goldstein, che mi viene descritto come una persona eccellente, il medico di Kiryat Arba che in passato si era impegnato a salvare le vite sia di ebrei sia di palestinesi. A Gerusalemme i miei colleghi recuperano le sue immagini riprese giorni prima e gli israeliani vedono così, per la prima volta, il suo volto. Intanto ero tornata al consiglio municipale. Là c’era il deputato nazionalista Hanan Porat che brindava. “È Purim, ebrei - diceva - Dobbiamo essere allegri”. Si disse allora, a sua scusa, che era alticcio.A me non lo sembrò affatto. Comunque non posso scordare i funerali del dottor Goldstein. Mentre eravamo diretti a Hebron, una sassata mandò in frantumi il finestrino del nostro pullmino. E il ritorno a Gerusalemme fu tremendo, dopo che avevamo lasciato Kiryat Arba, immersi nella notte, con la tensione che si palpava ad ogni chilometro, con il timore di attentati palestinesi. L’atmosfera era gravida di violenza. Ebbi paura. Gerusalemme - Manifestazioni anti-Rabin, estate 1995 Non era passato molto tempo dall’euforia di Tunisi, ed orati trovavi nei Territori a seguire le manifestazioni dei coloni contro “Rabin il traditore”… C’era effettivamente molto estremismo nell’aria. Ma io non pensavo che sarebbe sfociato in un delitto politico. Nemmeno quando estremisti di destra diedero l’assalto all’automobile del ministro laburista Benyamin Ben Eliezer, all’ingresso della Knesset, ed io ero là a due passi. E nemmeno quando in una manifestazione a Gerusalemme furono distribuiti volantini che mostravano Rabin con la uniforme delle SS. In quei giorni ero molto turbata per il ruolo che giocava la stampa, da come i media restituivano la realtà. C’era molta concorrenza, naturalmente si cercavano le espressioni più estremiste. Ma, mi chiedevo, rilanciando quelle parole indebolivamo gli estremisti perché mostravamo il pericolo che rappresentavano, oppure al contrario davamo loro forza e visibilità e dunque incoraggiavamo anche i loro sostenitori latenti? Ancora oggi, non so darmi una risposta definitiva. Certo la questione mi ha assillato per anni.Ma quanti erano in definitiva, questi estremisti?Non molti, ma avevano due vantaggi. Erano molto compatti fra di loro e poi l’establishment dei coloni non li aveva ostracizzati. Non c’erano rabbini che si esprimevano contro di loro. Quelli che pure gridavano “Rabin traditore” non erano esclusi dai servizi nelle sinagoghe. Anzi c’erano rabbini che li incoraggiavano.Accadde che un giorno mi trovavo a Hebron e una bottiglia incendiaria fu lanciata nella mia direzione. Mi esplose praticamente fra i piedi. Ormai ero satura. Non potevo più restare in quell’inferno, cominciavo a sentirne ripercussioni negative nella mia stessa vita. Chiesi di passare ad un altro incarico…Sharon esce di scena Gerusalemme - Sharon si accascia al suolo nel suo ufficio e viene trasportato in ospedale, dicembre 2005.Dieci anni dopo l’assassinio di Rabin (novembre 1995) un altro grande premier di Israele abbandonò drammaticamente la scena politica. Ci puoi raccontare la notte che Ariel Sharon, poco dopo aver fondato il partito Kadima, crollò nel suo ufficio?La telefonata mi raggiunse in studio dieci minuti prima del telegiornale. La mia fonte era di una autorevolezza indiscutibile. “Sharon si è sentito male, sta lasciando il suo ufficio, diretto all’ospedale Hadassah di Gerusalemme”. I miei direttori erano sbigottiti: cercarono convulsamente conferme dall’ospedale, ma invano. Io ero stata fra i primi ad essere informata. Anche il portavoce di Sharon ne era all’oscuro. Quando alle 8 di sera la telecamera si accese ero sicura della fondatezza della notizia, ma ero egualmente in agitazione perché nessuno sapeva che Sharon avesse malattie. “In questi minuti - dissi - il primo ministro Ariel Sharon viene condotto in condizioni gravi all’ospedale…’’ Sapevo che per molti in Israele iniziava una serata sconvolgente. Col senno di poi, si può dire che “se Rabin non fosse stato assassinato” o “se Sharon non fosse crollato mentre Kadima era ancora in fase iniziale di organizzazione” la Storia sarebbe stata diversa ? No, non è possibile. La vita qua è talmente dinamica in un numero così elevato di campi che la possibilità di sostenere tesi del genere di fatto non esiste.In termini generali possiamo dire che oggi il pubblico israeliano è molto più disposto a concessioni verso i palestinesi che non dieci anni fa ma che al tempo stesso la sua fiducia in un accordo di pace è calata a zero. Nemmeno la Sinistra pensa ormai che un accordo sia possibile.Non resta allora che accettare l’esistenza di un conflitto endemico, con cui bene o male si convive come con una malattia grave?Io sono una patriota. Amo questa terra. Davvero. Non potrei vivere altrove. Cerco di vedere qui più gli aspetti positivi che non quelli negativi. Così avviene, quando si ama. A differenza di altri che hanno la mia stessa origine, io considero la mia famiglia come “sale della terra”, proprio come i pionieri dei kibbutzim. I miei genitori sono stati pionieri anche loro: nelle “ma’abarot” (accampamenti provvisori per gli immigrati, a.b.) e nelle cittadine periferiche di sviluppo. Io ho fiducia nella capacità della gente di qui, penso che Israele sia un posto splendido. Nonostante i problemi, la vita qui è buona. Il mio cruccio deriva semmai dal divario sociale, dalla distanza fra ricchi e poveri, fra il Centro e la periferia. Occorre rafforzare la solidarietà sociale. Possiamo, dobbiamo migliorare: io sono e resto un’ottimista. Sempre e comunque. di Aldo Baquis, da Tel Aviv http://www.mosaico-cem.it/
Etichette:
Abbiamo scelto.....
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento