venerdì 8 gennaio 2010

Gerusalemme - Yad Vashem



La Sinagoga di Papa Ratzinger

Sulle spalle degli ebrei romani incombe una grande responsabilità: accogliere Papa Benedetto XVI con calore e diplomazia quando verrà alla Sinagoga il prossimo 17 gennaio, dopo la firma di un documento che, proclamando le eroiche virtù di Pio XII, lo spinge sulla via della beatificazione. E’ impensabile che nelle stanze vaticane non abbiano messo sulla bilancia la prevedibile costernazione dell'ebraismo romano, né il tempismo della proclamazione, che avrebbe messo in seria difficoltà gli ebrei romani ad un mese dalla visita di Benedetto XVI al Tempio maggiore di Roma. Però era anche prevedibile che l'invito a Benedetto XVI non sarebbe stato cancellato. Sarebbe prevalso, si sapeva, il dovere di ospitalità verso la persona del Papa, ma anche il dovere di curare i preziosi rapporti ebraico-cristiani così faticosamente costruiti dal Concilio in poi. Per il bene comune bisognava superare lo sconcerto per questa mossa a sorpresa, percepita come una mancanza di considerazione verso le ripetute richieste dal mondo ebraico di sospendere la causa di beatificazione di Pio XII, fino all'apertura degli archivi del suo papato che permetterebbe uno studio indipendente sul suo operato nel contesto storico dell'epoca. Sull'altro piatto della bilancia della decisione vaticana c'era il cammino intrapreso da Papa Ratzinger, pieno di ostacoli e trappole, verso il recupero dell'ala destra tradizionalista della Chiesa, e non solo lefebvriana. Tra loro c'è anche chi chiede perché gli ebrei interferiscano negli affari interni della Chiesa, dato che non credono nemmeno ai santi. Vero, gli ebrei non hanno santi, ma hanno i giusti, le persone che hanno rischiato la propria vita per salvarne un'altra. A Yad Vashem a Gerusalemme file e file di alberi onorano la memoria dei giusti della Seconda Guerra Mondiale, i tanti non ebrei che hanno osato, con coraggio estremo, mettere in gioco la propria vita per salvare quella altrui. Per la maggioranza degli ebrei - e anche molti cattolici - Pio XII non era un giusto. Era il capo spirituale e morale del cattolicesimo mondiale oppresso da responsabilità travolgenti nell'epoca più buia del Novecento. Non aveva le “divisioni” da comandare (come notava Stalin), ma la sua voce poteva influenzare i destini di milioni di esseri umani. Scelse la via della prudenza (una delle eroiche virtù della teologia cattolica). Per gli ebrei italiani, una data cardine per un giudizio su Pio XII rimane quella del 16 ottobre 1943, giorno della razzia nazista al ghetto che portò ad Auschwitz 1021 persone, di cui solo 17 tornarono vive. Dal Vaticano, quel giorno, si sentì solo il silenzio. Fu una scelta ponderata, saggia, giusta? Forse una risposta definitiva non ci sarà mai. Le trattative ci furono, ma non furono seguite da un grido di protesta quando i nazisti tradirono la fiducia posta nella diplomazia da parte del Vaticano. Secondo i documenti disponibili i fatti andarono così: subito dopo i rastrellamenti, il Segretario di Stato Vaticano, Cardinale Luigi Maglioni convocò l'ambasciatore tedesco Ernst von Weizsaecker. Dalle note del Cardinale si legge che “pregò l'ambasciatore di salvare tutti questi innocenti. E’ doloroso per il Santo Padre, doloroso oltre ogni dire, che proprio a Roma, sotto gli occhi del Padre Comune, siano fatte soffrire tante persone unicamente perché appartengono ad una stirpe determinata”. Weizsaecker gli chiese: “Che farebbe la Santa Sede se le cose avessero a continuare?” . Risposta: “La Santa Sede non vorrebbe essere messa nella necessità di dire la sua parola di disapprovazione”. Prima della partenza per Auschwitz i 1021 ebrei romani rimasero imprigionati a Roma altri due giorni senza che una voce di allarme uscisse dal Vaticano. In una lettera successiva ai fatti l'ambasciatore Weizsaecker scrisse: “Nonostante le pressioni esercitate su di lui da diverse parti, il Papa non si è lasciato indurre a nessuna dichiarazione di protesta contro la deportazione degli ebrei di Roma”. Dopo questa tragedia, migliaia di ebrei trovarono rifugio fra le strutture della Chiesa e perfino dentro il Vaticano. Un comunicato del 19 dicembre scorso degli ebrei italiani ne dà atto ribadendo che il mondo ebraico “continua ad essere riconoscente ai singoli e alle istituzioni della Chiesa che si adoperarono per salvare gli ebrei perseguitati”. Ma quest'opera umanitaria e coraggiosa, sicuramente voluta da Pio XII, non può , per gli ebrei, sostituirsi ad un giudizio complessivo sul suo operato storico. Torniamo dunque alla domanda: perché gli ebrei si intromettono nel dibattito su Pio XII? Innanzitutto Papa Pacelli era una figura pubblica, un attore importante nel dramma della Seconda Guerra Mondiale: la sua memoria appartiene alla storia. Poi i santi “sono modelli di vita cristiana” dell'educazione cattolica con ripercussioni sulla convivenza interreligiosa. Nel caso di Pio XII, una beatificazione senza ulteriori approfondimenti storici potrebbe avere riflessi negativi verso chi si permette di criticare il suo operato in futuro. Pesano anche incomprensioni teologiche. I confini tra scelte di vita e di fede per gli ebrei sono inesistenti: le virtù umane vengono giudicate dall'agire. Le “eroiche virtù” del cattolicesimo, invece, sono prettamente quelle religiose: “fede, speranza e carità; prudenza, giustizia, fortezza e temperanza”. Un candidato per la beatificazione che abbia manifestato queste “virtù in grado superiore”, dice il padre Federico Lombardi, portavoce del Vaticano, “può essere proposto come modello di vita cristiana… la continua ricerca della perfezione evangelica e non la valutazione della portata storica di tutte le sue scelte operative”. Sia il rabbino David Rosen, direttore per gli affari interreligiosi dell'American Jewish Committee e Consigliere per il Gran Rabbinato di Israele, sia il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, sottolineano l'esigenza dialogica per una sensibilità, e un ascolto reciproco che oggi si traduce nella richiesta di rimandare il processo di beatificazione fino a quando gli storici indipendenti non avranno potuto fare una ricerca più completa negli archivi ancora indisponibili. Gli ebrei chiedono al Vaticano solo che la verità sui fatti storici che li riguardano non sia riscritta in modo da gettare le basi per l'oblio. Lisa Billing, il Fatto quotidiano, 2 gennaio 2010

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