martedì 19 gennaio 2010



Gianni Riotta

Basta con i giornali faziosi. Intervista a Gianni Riotta

La globalizzazione. Il pregiudizio antisemita così simile a quello anti-americano. Il rapporto tra Obama e Israele. Parla il direttore de Il Sole24ore Sbarcato da meno di un anno alla poltrona di direttore del quotidiano Il Sole24ore dopo aver lasciato la direzione in Rai del TG1 (che occupava dal 2006), Gianni Riotta è certamente uno dei wunderkind del giornalismo italiano, un enfant prodige dal curriculum impressionante, inviato e poi condirettore de La Stampa e del Corriere della Sera, figlio di giornalisti (è nato a Palermo nel 1954), professore a contratto alla Columbia University e a Princeton, membro del Council on Foreign Relations. Nel 2008 le riviste americane Foreign Policy e Prospect lo hanno incluso nella classifica dei 100 intellettuali internazionali più influenti del mondo. A lui abbiamo chiesto come la pensa in fatto di Medioriente, di media e dell’atteggiamento di Obama verso Israele.Secondo te i giornali italiani dedicano sufficiente spazio al Medioriente?Il problema non è la quantità ma la qualità dello spazio che si dà a un tema. Durante il lungo periodo della Guerra Fredda, ad esempio, la qualità della copertura dei fatti mediorientali era scarsa e seguiva logiche di schieramento (in base ai due assi Usa-Israele, Urss-mondo arabo), e questo fatto fece perdere di vista i veri temi di quel conflitto. Oggi, con un approccio politico meno ideologico, tutto si è normalizzato. Cosa che ha permesso di far emergere anche le sfumature e la varietà infinita delle diverse posizioni israeliane. Una delle ragioni per cui io mi sento così filo-israeliano è ad esempio le opinioni, spesso critiche, che gli israeliani hanno saputo esprimere verso se stessi, un ventaglio così variegato di posizioni eterodosse e dissonanti tra loro che francamente ho riscontrato solo in un paese come Israele; la cosa, spiace dirlo, non avviene invece nel mondo arabo, poco propenso a guardarsi da fuori e in modo dialettico.Perché in Italia i giornalisti sono spesso faziosi quando affrontano temi mediorientali?Gli italiani in generale e i giornalisti in particolare sono sempre stati faziosi qui da noi: è nel nostro Dna. Faziosi nei confronti del calcio e di Berlusconi, degli Stati Uniti e della Chiesa Cattolica... Siamo sempre lì, ai soliti campanili. Il giornalismo italiano è sempre stato storicamente di parte: perché nasce ideologico e perché non è mai stato veramente di servizio, pensato per i lettori. Nasce nei caffè, nasce per esprimere un punto di vista, per dare voce ad anime belle, a una visione particolare della politica o della cultura. Un giornalismo che non si è mai messo al servizio di chi legge. Mussolini non nasce forse giornalista? E questo la dice lunga. Come possiamo allora non esserlo anche sul Medioriente, uno dei temi di gran lunga tra i più radicali e controversi? Tuttavia sono ottimista: stiamo migliorando, siamo meno ideologici di un tempo.Vecchio antisemitismo uguale a nuovo antisionismo?Sono stato tra i primi a scrivere che la critica radicale a Israele è la forma politicamente corretta del vecchio antisemitismo che si traveste oggi indossando posizioni ipercritiche verso Israele. L’antisemitismo, così come l’antiamericanismo, ha tre radici: la vecchia matrice di destra, fascista-razzista; il più vetusto cattolicesimo, quello che vedeva gli ebrei come assassini di Cristo e popolo-testimone della rivelazione di Gesù; infine la radice di sinistra, quella mutuata dallo stalinismo, un antisemitismo passato nel Partito Comunista e che si scatenò in modo violento dopo la Guerra dei Sei Giorni. Queste tre radici, identiche, le ritroviamo nel sentimento anti-americano di molta gente, qualcosa di viscerale, un’avversione irrazionale e brutale, che vede gli States come un Satana assoluto. Un odio coltivato da chi ad esempio, all’indomani dell’11 settembre, ha cominciato a propalare farneticanti teorie del complotto e tutte le bufale possibili in merito alla domanda “come mai non c’erano ebrei nelle torri gemelle quel giorno? Sarà che qualcuno, il Mossad, li aveva avvisati?”, tutte falsità assolute, che fanno venire i brividi perché rispondono sempre allo stesso criterio di colpevolizzazione della vittima o ad argomenti tipo “se li hanno fatti fuori è perché qualcosa di male avranno fatto...”. Solo adesso, lentamente, vedo crescere un sentimento di simpatia verso Israele e per quanto mi riguarda faccio il possibile affinché la gente in Italia ami, rispetti e ammiri il popolo d’Israele anche se non ne condivide la politica del governo. Dobbiamo lavorare a una grande fraternità tra Italia e Israele. Tanti ascoltano Noà o Baremboim e non sanno nemmeno che sono israeliani. Uno dei grandi problemi di Israele e dell’ebraismo è la comunicazione, quella capacità mercuriale di rapportarsi agli altri. In una realtà così composita, comunicare la diversità e la globalità è fondamentale. E tutti quei mondi - come quello ebraico ad esempio - che hanno una storia eclettica, sapranno adattarsi più facilmente alla globalizzazione. Soffriranno invece i mondi monolitici, quelli con una identità meno duttile. Tu hai vissuto e insegnato a lungo negli States, sei un americanista. Come vedi la posizione dell’attuale amministrazione Obama verso Israele?Quello di cui il Medioriente ha bisogno è un honest broker, un mediatore onesto, che sappia fare del bene alle due parti, israeliani e palestinesi. Sono stato decine di volte in Israele e in Medioriente, ero in Iraq nel 2003 quando fu ucciso il braccio destro di Kofi Annan, Vieira de Mello. Ebbene, il Medioriente rispetta la forza, la capacità negoziale, l’astuzia, l’intelligenza. Solo se non sei debole puoi essere un mediatore. Devi saper puntare i piedi. Il presidente Obama deve dimostrare di essere forte, solo così farà il bene di tutti e sarà appunto un vero mediatore.In questo caso tuttavia, sono pessimista. Non vedo un’imminente rottura negoziale, ovvero la sola cosa che possa portare a un vero, risolutivo negoziato. Tutto è immobile, congelato, non accade quasi niente. Insomma, non credo che nel 2010 si faranno grandi passi avanti. Grazie a Dio spesso mi sbaglio: ero pessimista anche altre volte, nel 2006 in Libano, non pensavo che la tregua reggesse. E invece ha tenuto e tiene ancora.Qual è la linea del Sole24ore se si parla di Medioriente?Questo è un giornale globalista, che crede profondamente nel fatto che la globalizzazione sia una forza benefica per il mondo, qualcosa che ha sottratto molta gente alla fame e all’indigenza. Credo che le forze che hanno messo in moto la globalizzazione debbano continuare ad agire. Credo ancora che il terrorismo, ad esempio, vada combattuto anche con le armi. Credo che non si vincano guerre come quella in Iraq o in Afghanistan solo con la pressione militare ma anche conquistandone le popolazioni locali con infrastrutture, acquedotti, strade, fognature, elettricità, facendo capire che in fondo abbandonare il terrorismo può anche essere conveniente. Infine c’è una questione iraniana sul tappeto: credo che tutti i popoli abbiano diritto all’accesso al nucleare civile. Quello che mi preoccupa è una sua eventuale deriva, il supermarket delle armi nucleari, e mi preoccupa la corsa al nucleare che la bomba a Teheran scatenerebbe. Egitto e Arabia Saudita la vorrebbero anche loro, subito, col rischio poi di finire per fronteggiarsi con Israele; e infine si aprirebbe il fronte India-Pakistan, un altro ginepraio...E sulla questione palestinese?Non c’è dubbio che i palestinesi siano in credito con la storia e che abbiano sofferto una mancanza di leadership seria, capace di fare i loro interessi; penso che abbiano diritto a uno Stato. Credo che se oggi passasse la risoluzione dell’Onu, quella del novembre 1947, che sanciva due Stati per due popoli, beh credo che nessun palestinese oggi si rifiuterebbe di sottoscriverla. La verità è che gli arabi non si sono mai curati degli interessi veri dei palestinesi, e che è stata proprio la risoluzione dell’Onu a far nascere l’identità palestinese così come noi la conosciamo oggi e che prima non esisteva. Credo ancora che quella del 2000, con l’incontro a Camp David con Bill Clinton, sia stata un’occasione storica mancata la cui responsabilità cade interamente sulle spalle di Arafat. Se Barack e Arafat avessero firmato l’accordo non avremmo avuto tutti quei morti negli attentati kamikaze.Che rapporti hai col mondo ebraico italiano?Direi fraterni. Ho affetti personali e professionali antichi, che risalgono alla mia giovinezza. Ho anche molti amici tra gli italkim di Israele. Fiona Diwan , http://www.mosaico-cem.it/

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