giovedì 11 febbraio 2010



Elie Wiesel


«Non piangerei se Ahmadinejad fosse ucciso»

L' appello Elie Wiesel denuncia il «crudele regime» con un appello sull' Herald Tribune firmato da 45 premi Nobel
«Cari presidenti Obama, Sarkozy e Medvedev, caro primo ministro Brown e cancelliera Merkel, per quanto tempo ancora possiamo restare a guardare con le mani in mano il compimento dello scandalo in Iran?». Comincia così l' accorato appello pubblicato ieri sull' International Herald Tribune dalla Elie Wiesel Foundation for Humanity, nello stesso giorno in cui, intervistato dalla Radio militare israeliana, l' 82enne premio Nobel dichiara che «se il presidente iraniano Ahmadinejad fosse assassinato, non verserei una sola lacrima». Mentre Teheran alza i toni dello scontro, minacciando direttamente i leader occidentali, lo scrittore e attivista sopravvissuto alla Shoah non esita a proporsi come guida morale nella crociata per fermare «il crudele e oppressivo regime iraniano». «Le minacce a Berlusconi confermano l' urgenza del mio messaggio», spiega Wiesel, che promette di «rivolgersi presto anche alla Cina, grande ostacolo alle sanzioni Onu e per noi un caso a parte». La lezione dell' Olocausto, quando il mondo stette inerte a guardare, percorre l' inserzione a tutta pagina sottoscritta da ben 45 premi Nobel. «In nome della coscienza e dell' onore - recita la lettera - da Washington, Parigi, Mosca, Londra, Berlino e dal Consiglio di sicurezza Onu deve levarsi una condanna più forte e inequivocabile contro le ripugnanti pratiche di Teheran». Una dittatura, precisa l' appello, «che ha imprigionato, torturato, stuprato e impiccato migliaia di innocenti». Nell' intervista alla Radio militare israeliana Wiesel definisce Ahmadinejad «un pericolo per il mondo e un pazzo patologico», accusandolo di essere «un antisemita», «negatore dell' Olocausto», che vuole «apertamente la distruzione di Israele, cioè la distruzione di altri sei milioni di ebrei». Non è la prima vota che Wiesel cerca di usare la sua influenza per sensibilizzare il mondo sul pericolo iraniano. Nel settembre 2006, in occasione dell' apertura dell' Assemblea generale Onu, si era unito alla protesta di un gruppo di studiosi di diritto israeliani e americani - tra cui il docente di Harvard Alan Dershowitz - chiedendo che Ahmadinejad fosse espulso dall' Onu per le sue affermazioni negazioniste sulla Shoah. Nel maggio 2008, durante la conferenza indetta dal presidente Peres per il 60esimo anniversario dello Stato d' Israele, affermò di fronte alla platea di capi di stato e vip quali Blair, Gorbaciov e Kissinger che è «una vergogna» che Ahmadinejad sia ricevuto nelle capitali mondiali, dal momento che minaccia Israele di attacco nucleare. Nell' agosto 2009, durante la conferenza di Durban II a Ginevra, un membro dell' entourage di Ahmadinejad si avvicinò a Wiesel urlandogli «Sio-Nazi». L' incidente fu videoregistrato da un rappresentante latinoamericano del centro Simon Wiesenthal. Negli stessi giorni, la Elie Wiesel Foundation for Humanity pubblicò una lettera aperta «a Shirin Ebadi, agli altri dissidenti iraniani e al coraggioso popolo iraniano», invitandoli «a non sentirsi soli e a non perdere la speranza» e condannando in pieno «le evidenti violazioni dei diritti umani seguite alle elezioni presidenziali in Iran». Alessandra Farkas 10 febbraio 2010 - Corriere della Sera

Nessun commento: