lunedì 22 febbraio 2010



Mar Morto

Rassegna stampa

Ci sono giorni in cui le notizie parrebbe di doverle cercare con il lumicino tanto la piattezza dell’ovvio pare avere la meglio su qualsiasi altro riscontro. Abbondano allora i rimandi alle inezie così come alle mitologizzazioni. Una di queste, in giorni di scarsità, è quella sul Mossad, il proverbiale (è proprio il caso di dirlo) servizio di sicurezza israeliano coinvonto – non è però certo la prima volta – in una connection internazionale. Ne parlano in tanti, tra i quali Loveday Morris su l’Internazionale, Francesca Marretta su Liberazione, Francesca Paci su la Stampa, Francesco Battistini per il Corriere della Sera, Alberto Stabile su Repubblica, Roberto Bongiorni su il Sole 24 Ore, Umberto De Giovannangeli su l’Unità e Michele Giorgio su il Manifesto. Il fuoco della polemica sono lo stato delle relazioni diplomatiche tra Londra e Gerusalemme, entrando in gioco l’utilizzo di passaporti falsi intestati a ignari titolari. In realtà, però, la vicenda parrebbe demandare ad un vero e proprio intrigo internazionale, degno di un film di Alfred Hitchcok. Chi ha tela da tessere tesserà ma intanto non è per nulla detto che l’immagine dell’«Istituto» israeliano ne esca ridimensionata, malgrado i toni polemici di Maurizio Matteuzzi su il Manifesto. Su un altro versante, quello della “lunga durata”, si segnalano i risultati dell’inchiesta promossa dalle Regioni italiane sul rapporto tra i giovani e il razzismo. Così Corrado Giustiniani su il Messaggero e Alessandro Armuzzi per DNews. Sono dati preoccupanti che segnalano soprattutto una robusta caduta di quegli anticorpi culturali che ci avrebbero dovuto invece aiutare a fare fronte ai tempi di mutamento che stiamo vivendo. Chi lavora nel campo della ricerca sociale non si sorprende più di tanto dinanzi a certi esiti, avendoli già anticipati con le sue analisi di tendenza. E tuttavia il riscontrare che i toni pessimistici hanno un fondamento non è mai cosa gradevole. Intendiamoci, come l’autoconsiderazione per la quale gli italiani sarebbero stati sempre «brava gente» non ha mai avuto un vero riscontro nei fatti, non di meno non può valere la lettura a rovescio, da certuni compiaciutamente diffusa in questi ultimi anni, per cui saremmo un popolo razzista. Le generalizzazioni, tanto più in campi come questo, sono sempre indebite. Rimane il fatto, tuttavia, che il confronto con le sfide della modernità ci vede culturalmente incapaci di dare ad esse nomi e sembianti che non siano quelli dell’angoscia. Da ciò alla razzizzazione il passo, purtroppo, è spesso breve. Interessante (e condivisibile per molti aspetti) la chiave di lettura del rapporto tra Israele e Berlusconi, fondato su una reciprocità forte, che ci è offerta da Segre su il Giornale. C’è un effetto di rispecchiamento tra il paese e il leader politico che va al di là di una transitoria simpatia, per corroborarsi come nesso profondo. Inutile cercare analogie – inesistenti – tra il profilo di un uomo e quello di una società nazionale. Sono due entità diverse. Piuttosto, ed è questo uno dei punti forti dell’analisi, sarebbe il bisogno di trovare nell’amicizia un legame fiduciario, che ad entrambi è sempre mancato, a costituire l’anello forte, che accomuna l’uno all’altra (e viceversa). Siamo più nel campo della psicologia della politica che non in quello della politica tout court ma è non meno vero che sia Berlusconi che Israele rappresentano, ognuno a modo suo, due “storie di successo”. Un imprenditore vivace e, a tratti, spregiudicato che spiazza i suoi interlocutori costruendo da sé la scena sulla quale giocare le sue pedine; un paese che nasce da una intenzione e da un concorso di volontà, traendo pressoché dal nulla le energie per costituirsi come soggetto collettivo in un consesso mondiale. Molto polemico è invece l’articolo di Tim McGirk su l’Internazionale riguardo al ricorso all’archeologia in Israele, vera passione nazionale, come strumento di legittimazione politica e, soprattutto, afferma il testo, di espulsione della popolazione araba gerosolomitana. La questione, in realtà, non è nuova e più che ascriverla ad un calcolo mancino fatto da certuni demanda alla irrisolta questione delle radici territoriali e di quele identitarie su di una terra che è oggetto di contesa in ogni suo centimetro. In queste circostanze, anche gli scavi archeologici non sono neutri poiché la ricerca sul passato ha un immediato riflesso sul piano del presente, ovvero sul versante dell’autoconciderazione e delle rivendicazioni. Gerusalemme è una città il cui statuto va ben oltre quello di una comune metropoli, richiamando la stratificazione e la sovrapposizione di storie e aspirazioni diverse, intrecciate tra di loro in nodi che, a volta, rischiano anche di strangolare qualcuno.Claudio Vercelli,http://www.moked.it/

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