martedì 23 febbraio 2010


Purim, la gioia e la vittoria

La voce della Torà. È la festa più allegra del calendario ebraico, il racconto di un tentativo di sterminio e del trionfo sui persecutori di ogni tempo e luogo. ecco quali sono le quattro mitzvot-simbolo della festa Un umorista israeliano, Efraim Kishon, sostiene che Purìm è la festa più gioiosa dell’anno ebraico perché, una volta tanto, un antisemita ha fatto una brutta fine. Kishon coglie scherzosamente un elemento essenziale della festa di Purìm. Purìm è un tentativo di sterminio del popolo ebraico che si conclude inaspettatamente con la sconfitta dei persecutori e la loro punizione. Ci potevano essere molti modi per ricordare questo evento, si poteva per esempio stabilire un giorno in cui riunirsi e raccontare la storia, lo si poteva fare in pubblico, organizzando eventi aperti a tutti. Questa festa però viene festeggiata in maniera diversa. Si racconta sì la storia ma questo racconto deve seguire regole precise. Una delle quattro mitzvòt di Purìm è la lettura della Meghillà che però deve essere letta da un rotolo di pergamena simile a un sèfer Torà e più o meno con le stesse regole della lettura della Torà. Se la Meghillà viene letta traendola da un semplice libro o raccontata oralmente non si compie la mitzvà. Il racconto cioè diventa parte del sistema delle mitzvòt, della vita religiosa del popolo ebraico, solo se letto in un certo modo.Le altre mitzvòt di Purìm sono i doni ai poveri, l’invio di cibo ad amici e conoscenti e infine il banchetto. Queste mitzvòt hanno un profondo significato non tanto per Purìm quanto per la vita del popolo ebraico. Con i doni ai poveri si osserva la mitzvà fondamentale di occuparsi degli altri, dei bisognosi. Questa mitzvà risponde innanzitutto a un’esigenza di giustizia sociale ma è anche un modo di mettere in pratica alcune idee fondamentali della tradizione ebraica, come per esempio l’idea che la nostra vita non ha senso se non ci occupiamo del prossimo, se non consideriamo i beni in nostro possesso uno strumento che Dio ci ha concesso per aiutare gli altri. Lo scambio di cibo è un modo per rinsaldare i rapporti all’interno del popolo ebraico o per ricrearli quando si sono spezzati.Il banchetto infine è un modo per vivere con gioia lo scampato pericolo. Qualcuno voleva sterminarci e noi dimostriamo di essere sia spiritualmente sia fisicamente vivi. Il ricordo viene così trasformato in un’esperienza di vita ebraica che ruota intorno al tempio, alla famiglia e alla Comunità. Senza questi tre elementi (a cui va aggiunto un quarto fondamentale che è lo studio) non esiste Comunità né popolo. Il ricordo fine a se stesso rischia invece di trasformarsi in una commemorazione.di Rav Alfonso Arbib

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