La conclusione del viaggio di Silvio Berlusconi in Israele non poteva non accompagnarsi alla coda di polemiche sollevate soprattutto da quanti, nell’agone internazionale, si sono sentiti punti nel vivo dalle sue forti dichiarazioni. È quindi il giorno delle dure repliche iraniane, raccolte ancora una volta, tra gli altri, da Serena Martucci su EPolis, Claudio Rizza su il Messaggero, Alessandro Farruggia su la Nazione, un polemico Luigi Spinola per il Riformista e Gerardo Pelosi per il Sole 24 Ore. Il livore delle parole di Teheran colpisce ancora una volta, benché oramai si sia pur fatta una qualche abitudine alla gelida, rutilante, enfatica retorica di taglio combattentistico dell’attuale gruppo dirigente iraniano. Senza mezzi termini, evocando o sottointendo scenari apocalittici (un abito che ben si confà all’estremismo verbale e alla concezione militante delle relazioni internazionali nutrita da quella leadership), e dopo avere riversato l’ennesima sequela di insulti contro Israele, l’affondo contro il premier italiano non si fa attendere. In una nota scritta comparsa in un sito della televisione iraniana, redatta peraltro in lingua italiana, è detto che «Berlusconi, durante il suo discorso alla Knesseth, ha completato tutta la serie di servigi fatta ai padroni israeliani». A seguire, poi, l’elenco della “nequizie” attribuite al Cavaliere. Che, peraltro, non sorprendono nessuno poiché era facilmente prevedibile che il viaggio del leader italiano, così come le sue nette prese di posizione, scontentassero chi si vede ora messo, almeno temporaneamente, ai margini del grande gioco. Al riguardo, infatti, il Riformista, del pari a Paolo Della Sala su il Secolo XIX, ritiene che «tra Israele e ayatollah è finita l’equi-vicinanza». Vincenzo Nigro per la Repubblica, rileva che ciò che nei giorni trascorsi si è consumata è la speranza (o l’illusione) che Roma potesse o volesse giocare un ruolo “terzista”, ossia di mediazione interessata, nella complicata partita con l’Iran. Paese nei confronti del quale il precedente governo Berlusconi, quello del 2001-2005, aveva assunto una posizione assenteista, evitando di entrare nell’intricata partita in corso sul nucleare. Atteggiamento, però, di cui si era pentito, avnedo lasciato campo aperto a Francia, Germania e Gran Bretagna. Ora, il nuovo attivismo che emerge dall’evoluzione politica dettata dalle dichiarazione del premier è comunque destinato ad avere molteplici implicazioni poiché l’interscambio economico con l’Iran è voluminosissimo, come è ben risaputo, ed è difficile credere che non subisca in futuro dei contraccolpi. Già nell’anno appena trascorso, rileva il nostro ministero degli Esteri, si era verificata una riduzione del volume delle transazioni intorno al 30%, dato però contestato dall’Istat che registrerebbe nel medesimo lasso di tempo, invece, una ulteriore crescita. Il trend negativo, non di meno, sempre secondo la Farnesina, dovrebbe proseguire, pur permettendo di portare a compimento accordi e contratti già stipulati, come quelli firmati dall’Eni, così come Stefano Agnoli commenta per il Corriere della Sera. Gli stessi americani, afferma Maurizio Molinari su la Stampa, avrebbero avanzato la richiesta di sacrifici da parte nostra in tal senso. Quel che ha più offeso il regime iraniano è tuttavia il rimando alla necessità di sostenere l’opposizione interna, denuciata come «aperta interferenza negli affari interni di uno Stato sovrano». I rapporti bilaterali sono quindi prossimi ad una crisi diplomatica, come commenta Cecilia Zecchinelli su il Corriere della Sera. Se ancora due anni fa Mahmoud Ahmadinejad riconosceva nell’Italia un «paese amico, il più amico di tutti» oggi lo scenario è profondamente mutato. La decisione di attaccare politicamente Teheran non è di certo il frutto di una estemporanea manifestazione di volontà di Berlusconi ma il prodotto di una strategia politica concordata a livello non solo dell’esecutivo ma, quasi sicuramente, anche con gli altri partner europei. Per più versi parrebbe indicare che il tempo delle moratorie e dei rinvii è scaduto. In ciò c’è un sostanziale assenso nell’Unione Europea che stanca di misurare il succedersi degli insuccessi dei tentativi di negoziazione pare ora volta verso il varo di nuove sanzioni intese però nell’ottica del «double track», il doppio binario, ovvero non come strumento di mera punizione bensì di induzione ad un atteggiamento più cooperativo. Su quanto queste possano essere praticabili, prima ancora che efficaci, dinanzi soprattutto alla dichiarata indisponibilità cinese, la discussione è tuttavia aperta. Dopo di che, se nulla dovesse essere fatto, l’escalation incontrollata potrebbe infine produrre una reazione militare, ipotesi poco auspicabile ma non esclusa dalle agende politiche degli uni come degli altri. Tuttavia gli scenari, oltre che cupi, potrebbero aprirsi anche a nuove speranze, come lascia intendere Khaled Fouad Allam su il Sole 24 Ore, che mette in rilievo come Ahmadinejad faccia la voce grossa anche perché sa di essere fragile, ovvero di potere contare su un margine di legittimazione interna piuttosto ridotto. Ad essere messo alle corde da un opposizione che continua a manifestare a viva voce le sue ragioni, malgrado la brutale repressione, è, secondo l’autore, il sistema stesso di governo che si è andato affermando in questi ultimi trent’anni a Teheran. Aggiunge Fouad Allam: «probabilmente nei prossimi anni la crisi del modello politico iraniano, che ha indirettamente influenzato il fondamentalismo islamico sunnita, si propagherà anche negli altri paesi musulmani, semplicemente perché per la questione democrazia non sussiste frontiera tra Islam sunnita e islam sciita». Il vero anello debole, ancora una volta. è costituito dall’incapacità delle classi dirigenti iraniane, al di là della retorica forcaiola, di dare risposte alla crisi economica che da tempo attraversa il paese e colpisce le sue classi medie. Vedremo quali saranno gli sviluppi futuri, sui quali si sofferma anche Segre per il Giornale, rilevando come il livello di credibilità dell’Italia in Israele sia ora molto alto e di come questo capitale politico possa essere speso per un effettivo ed innovativo ruolo di mediazione. Insomma, come si suole motteggiare “chi vivrà vedrà”. L’importante è che la politica mediorientale e mediterranea si disponga nel senso della protezione della vita e non della sua distruzione, di contro alle spinte necrofile che ancora oggi il regime iraniano continua a produrre.
Claudio Vercelli, http://www.moked.it/
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