I media di Gerusalemme esaltano il ruolo di Berlusconi in un Paese a rischio di genocidio, tra Hamas, Hezbollah e l’incubo dell’atomicaUn amico... haver tov, un buon amico. Già dalla giornata precedente all’arrivo di Silvio Berlusconi in Israele tutti i media cartacei, radiofonici, televisivi erano pieni di questa espressione. Per Israele gli amici sinceri sono importanti quanto rari, specialmente quando arrivano dall’Europa. Israele è abituata a vedere il mondo gestire con le pinze la sua situazione, sa che avere un rapporto caldo e gentile come quello di Berlusconi con lo Stato ebraico e con Bibi Netanyahu è una scelta costosa, che il mondo islamico guarda e aggrotta le sopracciglia. Israele è spesso calunniata e rimproverata mentre la premono mille minacce esistenziali, e il fatto che qualcuno capisca quanto è duro difendere l’unica democrazia del Medio Oriente le dona un attimo di respiro, una autentica consolazione. Il panorama che Berlusconi vedrà sarà quello di una società piena di voglia di vivere, di un’economia che si basa sull’innovazione tecnologica. Netanyahu, che ci tiene molto a dare un suo segno fortemente liberale, ha creato l’ambiente perché l’indice delle cento compagnie israeliane più forti nello stock Exchange di Tel Aviv siano cresciute dell’88,8% in un anno, riprendendosi velocemente dalla crisi del 2008. Lo standard medio della vita è simile a quello italiano. Sembra incredibile che sia una società minacciata di genocidio, affaticata dalle spese militari, in cui la leva militare è di tre anni, e in cui il pericolo è pane quotidiano. L’Iran è oggi il centro dell’attenzione strategica, un pericolo chiaro e presente: Israele lo vede appollaiato sui suoi confini, sempre più aggressivo. Al nord Hezbollah, parte importante del governo libanese, milizia sciita integralista armata dagli ayatollah lungo il confine israeliano, è pronto a scattare quando l’Iran lo ordini.
E a Gaza, a sud d’Israele, Hamas che ha giurato di distruggere Israele, è definita anche da Abu Mazen una pedina iraniana. La Siria, nella cui capitale risiedono le ambasciate più attive di svariati gruppi terroristi, è un attore così importante in tutta la vicenda che il ministro della difesa Ehud Barak è stato costretto a dire che se di nuovo dovesse scoppiare un conflitto con il Libano a causa di un’aggressione degli Hezbollah, probabilmente esso si allargherebbe alla Siria. Ha anche aggiunto che Israele spera che questo non succeda, ma questa è l’aria che tira dopo che il giornale del Qatar Al Watan ha rivelato una svolta strategica decisiva da parte di Damasco verso gli Hezbollah, che in questi giorni hanno dispiegato i missili terra-terra M600 di fabbricazione siriana, che raggiungono i 250 chilometri i distanza; insomma, Tel Aviv. Israele certo spiegherà a Berlusconi che la sua preoccupazione è che l’Iran si serva dei suoi amici per dare fuoco al Medio Oriente. Questo naturalmente distruggerebbe qualsiasi opzione di pace con i palestinesi del West Bank: e Abu Mazen, forse sperando che il consesso internazionale faccia la maggior parte del lavoro, sta un passo indietro rispetto a trattative di pace (richieste invece da Netanyahu) cui pone precondizioni che Israele non accetta. I palestinesi vorrebbero un completo congelamento di tutte le costruzioni negli insediamenti: ma Netanyahu, che pure ha ordinato il maggiore «stop» dal 1967, non vuole andare troppo lontano senza contropartite almeno morali.
Sanguina il risultato ottenuto da Sharon con lo sgombero di Gaza, solo missili sulle città israeliane e il potere a Hamas. Abu Mazen a sua volta teme di essere abbandonato da un’opinione pubblica abituata giorno per giorno alla propaganda ufficiale di esaltazione degli «shahid» - i terroristi suicidi - diffusa anche da Fatah. Hamas gli contende da vicino il consenso sul versante della guerra a Israele. Un altro tema che angoscia Israele e di cui è probabile che dati i suoi rapporti con la Turchia Berlusconi sentirà parlare, è il drammatico raffreddamento di rapporti con il governo turco guidato da Tayyp Erdogan, dato che per tanti anni il Paese di Kemal Ataturk è stato il miglior nesso fra mondo islamico e Israele e oggi ne provengono attacchi continui. Insomma, farà caldo in Israele. Gli americani in questi giorni dispiegano navi al largo della costa iraniana e piazzano sistemi antimissile almeno in quattro Paesi arabi moderati: un segnale che Obama non crede più di poter contenere la follia di Ahmadinejad con la politica della mano tesa. Lo temono infatti anche i Paesi arabi moderati ed è per questo che gli Usa schierano i sistemi antimissile. La situazione che Berlusconi incontrerà in questi giorni è infuocata e sassosa più di sempre in Medio Oriente. E dunque Israele lo aspetta, perché quando sei in pericolo, è bello raccontarlo ad un amico.Il Giornale, 1 febbraio 2010
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