lunedì 29 marzo 2010


Carlo Angela Un vercellese fra i Giusti delle nazioni

Le condizioni indispensabili per riconoscere un "giusto" sono tre: aver salvato ebrei, averli salvati sotto la minaccia di un grave pericolo per la propria vita, aver operato senza pretendere nessun compenso. Tutte queste tre condizioni si trovano esemplificate nella figura di Carlo Angela (Olcenengo, 1875 - Torino, 1949), il cui nome dal 25 aprile 2002 compare sulla stele d'onore del Giardino dei Giusti, nel Museo dell'Olocausto di Gerusalemme. Il 9 gennaio è stato celebrato il 130o anniversario della nascita di questo eroe del quotidiano, evento che si lega profondamente ad altre due date, come il Giorno della Memoria e i sessant'anni dalla Liberazione. Angela, insigne psichiatra, uomo democratico e libero, schieratosi già negli anni venti contro il nascente fascismo, per le sue posizioni politiche, finisce, in una sorta di confino, a San Maurizio Canavese, dove dirige la Casa di cura per malattie nervose e mentali Villa Turina Amione. Qui, senza clamori, riesce, grazie a fidati collaboratori che condividevano con lui i suoi alti ideali, a realizzare un coraggioso capolavoro di solidarietà umana, ad accendere una piccola, ma nello stesso tempo importantissima, luce di civiltà in un'Europa ottenebrata dalla cieca follia nazifascista. Il medico di Olcenengo, come Oskar Schindler e Giorgio Perlasca, non si è limitato a singoli episodi di generosità, ma ha attuato un sistematico progetto ispirato alla civiltà dell'Amore e della Carità, per contrastare la violenza delle armi, apparentemente invincibili. In un'Italia sconvolta da una guerra fratricida e percorsa dall'odio razziale, Angela, seppur anziano, con moglie e figli, è stato l'artefice di una tra le più nobili, singolari, pericolose, forme di resistenza civile, condotta con estremo rigore morale e una salda coerenza ai principi più alti del consorzio umano, senza mai piegarsi, per ragioni di opportunismo, al delirio dei dettami imposti dalla Repubblica di Salò. Così, nella clinica offre ricovero ad antifascisti, e soprattutto a molti ebrei, che sottrae a sicura morte, falsificando diagnosi e cartelle cliniche, facendo passare persone sane per malati di mente. Carlo Angela riuscì, in modo davvero mirabile, a gestire una situazione continuamente dominata dall'angoscia quotidiana e dai sacrifici della simulazione, rischiando, durante una spietata rappresaglia fascista messa in atto l'11 febbraio 1944, di venir fucilato. Fu sottratto all'ultimo al supplizio, per intervento del conte di Robilant. Anche in quella circostanza, seppe dunque serbare il segreto sulla sua attività clandestina. Il silenzio, imposto dallo stesso Angela, fu conservato per cinquantasei anni, quando fu parzialmente rivelato dal figlio Piero. A questo primo timido accenno, dai toni volutamente dimessi in omaggio alla discrezione del padre, seguì la pubblicazione nel 1995 per i tipi di Sellerio del diario segreto di Renzo Segre, "Venti mesi". Segre, ebreo biellese, fu infatti salvato per intervento di Angela e descrisse, non solo la drammaticità di quel periodo, ma anche la straordinaria grandezza di un uomo che aveva da solo sfidato quello che allora sembrava impossibile da sconfiggere, la forza militare delle Ss e dei repubblichini. Negli ultimi anni, grazie ai pregevoli studi di Franco Brunetta, nuova luce è stata fatta su questa eccezionale figura di intellettuale antifascista. Da ciò emerge che le cifre entro le quali si può interpretare la sua esistenza sono state l'impegno, il servizio alla collettività e, soprattutto, l'incrollabile fede nell'avvenire. (g. f.) http://www.storia900bivc.it/

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