lunedì 29 marzo 2010


Il mediatore di Arcore che dialoga col mondo

L’origine greca della parola «dialogo» indica una conversazione, tra due o più persone, molto semplice, quasi confidenziale. In questo spirito di sereno confronto nasce il pensiero filosofico dialettico che incominciamo a trovare nei dialoghi di Platone. Quando si enuncia il dialogo, per imporre agli interlocutori un proprio punto di vista senza discuterlo, si è di fronte a un pensiero dogmatico. Una via di mezzo è il dialogo che non è un dialogo ma una finzione, con cui si dà l’impressione di conversare con l’interlocutore, ma in realtà si è chiusi nelle proprie posizioni e, solo per convenienza, si accetta il dialogo.Come è facile intuire, il primo tipo di dialogo è molto raro perché, per esempio, il filosofo dimostra di cercare una verità che sa di non possedere, mentre, ancora per esempio, un politico deve cercare tra le diverse posizioni in gioco, la mediazione e la sintesi. Per sviluppare correttamente questo tipo di dialogo, il politico non deve assumere una posizione di preconcetto schieramento e non essere ricattabile.Di rinunciare in modo chiaro ed esplicito al dialogo, in favore di affermazioni dogmatiche, nessuno ha il coraggio: molto più comoda è la finzione, quella relativa al dialogo di terzo tipo. E qui i maestri sono innumerevoli. Adesso arriviamo a Berlusconi, e decidano i lettori in quali di questi tre modelli di dialogo incasellarlo. Escludiamo, solo per ora, il chiacchiericcio della politica italiana che ha nei talk show televisivi - generosamente chiamati «approfondimenti» - il suo terreno di cultura ben concimato. Recentemente avevamo visto il presidente del Consiglio parlare in difesa di Israele e dei suoi valori democratici e culturali con una tale chiarezza, senza ambiguità e opportunismi dialettici, come mai era accaduto a un politico italiano che ricoprisse significative cariche istituzionali. Tanto è vero che molti di noi si aspettavano reazioni violente da parte degli arabi. Ieri, davanti a rappresentanti della Lega araba, Berlusconi, unico occidentale con responsabilità di governo, ha invitato decisamente Israele a fermare i nuovi insediamenti abitativi a Gerusalemme est, perché questi rappresentano una rottura di quell’equilibrio tra palestinesi e israeliani tanto fragile, tanto difficile da mantenere, che è l’imprescindibile condizione per la pace tra i due popoli.Berlusconi, dunque, dialoga con Israele e dialoga con i nemici di Israele, senza incertezze, perché sa che soltanto in questo modo, con molta pazienza e tenacia le parti si possono avvicinare. Da dove gli deriva questa disinvoltura, per cui il dialogo gli riesce tanto naturale? Si potrebbe rispondere: perché è un filosofo - sul genere dell’imperatore Adriano - che conosce il valore della dialettica attraverso lo studio approfondito della grande tradizione occidentale del pensiero dialettico. Lo escludo, senza incertezze.È allora, Berlusconi, un politico consumato che interpreta il dialogo come un colpo che si dà al cerchio e uno alla botte? È certo un politico, che però non si è fatto consumare dalla politica. E qui ci avviciniamo alla risposta. Nel dna di Berlusconi c’è il suo essere imprenditore, cosa tra l’altro che egli continua a rivendicare. Nella Scienza della logica, Hegel istituisce un curioso parallelo tra l’imprenditore, o meglio, colui che si dedica agli affari, e il filosofo dialettico: entrambi hanno bisogno di cercare una sintesi tra posizioni - interessi - diversi per poter procedere nella loro «attività». Un argomento, non tanto diverso da questo, era stato sostenuto una quarantina di anni prima da Adam Smith nella sua opera «Sulla ricchezza delle nazioni», monumento del liberalismo economico.Dunque, se un filosofo individua nel dialogo un principio per sviluppare la propria ricerca, non diversamente un imprenditore - l’uomo d’affari - trova in esso la possibilità di mediare vantaggiosamente interessi conflittuali. Se, poi, il suo dialogo è una finzione per raggiungere un esclusivo interesse egoistico, non è detto che scoperto il trucco, sia lui a pagare il prezzo maggiore.Berlusconi è questo: un ex imprenditore che fa il politico, intuendo con grande semplicità, con disinvoltura filosofica, che il vero dialogo è sempre un vantaggio per tutti. Eccetto, ovviamente, che per l’audience degli «approfondimenti» televisivi, in cui il dialogo appare un modello di comunicazione per persone imbelli, senza carattere. 28 marzo 2010, http://www.ilgiornale.it/
Prima veste i panni del Grande mangiatore di datteri. Poi, quelli del Premier-zelig, l'amico di tutti. Arabi. Israeliani. Il premier che dice tutto e il contrario di tutto. A seconda della platea che ha di fronte. Un vero e proprio show, quello inscenato ieri in terra libica dal «Cavaliere con la kefiah». All'altezza di quello che aveva visto protagonista il «Cavaliere con la kippah» il 3 febbraio scorso alla Knesset. Spalleggiato dall'amico Muammar (il rais libico Gheddafi), Silvio Berlusconi sbarca a Sirte per partecipare, uno degli ospiti internazionali, al vertice della Lega Araba. L'accoglienza che il Colonnello riserva al Cavaliere è di quelle che meritano l'Oscar del kitsch: canti, balli, con Gheddafi che accoglie a braccia aperte Berlusconi sotto una tenda multicolore allestita vicino alla pista dell'aeroporto di Sirte. Gaza libera. Dopo i baci e gli abbracci, il presidente del Consiglio raggiunge il centro congressi Ouagadougou, per il summit. Prima, però, si concede un giro per il piccolo «suk» all'ingresso del centro, accompagnato dal fratello di Gheddafi. Un lancio di agenzia - stile Istituto Luce - narra di un sorridente Berlusconi che mangia di gusto i datteri offertigli dai plaudenti commercianti. La recita del Grande mangiatore di datteri finisce qui. E inizia quella politicamente più significativa: alla tribuna del vertice sale il Premier-zelig. Il più arabo degli arabi. Come a Gerusalemme era stato il più israeliano degli israeliani. Per «ridare una chance alla pace» in Medio Oriente Israele fermi i «controproducenti» insediamenti a Gerusalemme Est, e restituisca alla Siria le alture del Golan, scandisce. Applausi dei leader arabi. Neanche Barack Obama è giunto a tanto. […]Umberto De Giovannangeli, l'Unità, 28 marzo 2010

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