sabato 20 marzo 2010

Rassegna stampa

Continua la campagna dell'amministrazione Obama contro Israele, "la peggiore crisi degli ultimi 35 anni" fra i due paesi, come si è espresso l'ambasciatore israeliano a Washington, Oren. Dopo gli interventi negli scorsi giorni del segretario di Stato Clinton e del consigliere personale di Obama Axelrod, adesso spara l'artiglieria minuta dei giornali, come il solito Roger Cohen, amico degli iraniani sul "New York Times" (in Europa leggibile sullo Herald Tribune). Naturalmente i soldatini obamiani delle organizzazioni ebraiche americane di sinistra come "J Street" seguono e chiedono di nuovo a Obama di decidere lui in casa di Israele. E i giornali italiani si allineano: Battistini sul Corriere, Stabile su Repubblica, praticamente indistinguibili dai professionisti dell'anti-sionismo come Tramballi sul Sole, Salerno sul Messaggero e i neocomunisti del Manifesto, i giustizialisti del Fatto e così via. Le voce contrarie sono molto rare, in pratica solo Pezzana su Libero. Come al solito molto personale l'analisi di R.A. Segre sul Giornale. Oggettiva e preoccupata la cronaca di Molinari per La Stampa.In realtà la ricostruzione migliore da leggere attentamente è quella della redazione del Wall Street Journal: si tratta di una svolta anti-israeliana decisa a freddo, riporta il quotidiano economico. La crisi data dall'annuncio della costruzione di qualche centinaio di appartamenti in un quartiere di Gerusalemme era stata chiusa dalle scuse di Netanyahu a Biden, che infatti nel suo discorso all'università di Tel Aviv le aveva accettate, ringraziando il governo israeliano per la sua disponibilità; ma dopo il suo ritorno a Washington c'è stata la decisione di cercare di mettere Netanyahu in un vicolo cieco. Le ragioni sono diverse: l'idea di fare i conti con un alleato indocile ora, sei mesi prima delle elezioni di mid-term, in modo da restaurare l'autorità americana in crisi è una ipotesi: si sarebbe trattato di una richiesta del Generale Petraeus, o almeno così riportano parecchi giornali. L'altra ipotesi ancora più preoccupante è che, come scrive Luisa Arezzo su Liberal, la "vera frattura" non sia su Gerusalemme ma sull'Iran, che cioè il governo americano abbia deciso di abbandonare la strategia di contrasto all'atomica iraniana nella speranza davvero folle che la Turchia di fronte alla crescita di potenza dell'Iran si decida a farne il contrappeso, pur essendo nel pieno di un clamoroso riavvicinamento col regime degli ayatollah. Sarebbe l'ennesima illusione di un'amministrazione che sta contrapponendosi a Israele per riuscire credibili con regimi come quello siriano, che non hanno la minima intenzione di cambiare politica per far piacere a Obama.La mossa dell'amministrazione americana sembra scelta molto male anche perché riguarda Gerusalemme. A Netanyahu è stato chiesto di cessare l'attività edilizia in Giudea e Samaria per riportare i palestinesi al tavolo della pace, cosa che lui ha fatto, con l'esplicita eccezione di Gerusalemme. Ora si fa scandalo che questa eccezione venga rispettata; dunque sembra che si usi, dalla parte degli americani come dei palestinesi, una sorta di tattica del carciofo, che non solo per il governo, ma per il popolo israeliano è inaccettabile. Gerusalemme per noi è una linea rossa, ha detto un ministro israeliano e che le cose siano così si vede dal clamoroso silenzio in questa circostanza non solo dei laburisti ma anche di Tzipi Livni. Che la questione sia su Gerusalemme è dimostrato anche dai tentativi, raccontati da Virginia Di Marco sul Riformista, di creare disordini per impedire la re-inaugurazione della sinagoga di Hurva, al centro del quartiere ebraico della città vecchia, già distrutta due volte, dagli ottomani tre secoli fa e dalle truppe giordane nel 1948 (tanto per mostrare la tolleranza del dominio arabo su Gerusalemme).Resta la questione del perché l'amministrazione Obama abbia deciso di forzare i tempi e l'intensità della crisi. E' per la sua attitudine a "corteggiare i dittatori e litigare con gli amici", come scrive il Wall Street Journal citato da Molinari? O per l'illusione di spezzare il governo Netanyahu, forzando un cambio di maggioranza, come scrive Spinola sul Riformista? In questo caso molto probabilmente si tratta di una manovra velleitaria, viste le posizioni dell'elettorato israeliano. O ancora, si tratta di far ripartire la strategia del discorso del Cairo, apertura al mondo islamico pagata con la messa nell'angolo di Israele, sulla base dell'idea che la crisi fra Israele e i palestinesi sia il centro delle convulsioni di tutta l'area, che si placherebbero se ci fosse la pace fra Israele e palestinesi? Ma pensa Obama che Israele possa mettere a rischio la sua sicurezza con accordi rischiosi in un momento in cui si sente abbandonato dal suo maggiore alleato? Quali siano i pericoli di questa posizione si vede bene nel bell'articolo di Emanuele Ottolenghi sul Wall Street Journal, rivolto all'Europa ma che sarebbe bello fosse letto anche dai responsabili americani. Purtroppo è difficile pensarlo, come sarà difficile rimediare a questa crisi pericolosa, costruita a freddo da Obama. Ugo Volli, http://www.moked.it/


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