sabato 20 marzo 2010


Roma - giardini vaticani


Dialogo tra ebrei e cattolici? Ma se il Vaticano snobba Israele...

Ha sempre usato parole nette sul rapporto tra ebrei e cattolici, sottolineando in un recente saggio come la politica della Santa Sede possa portare il dialogo a una «insormontabile impasse». Perché se Giovanni Paolo II avviò il «tentativo di cristianizzare la Shoah», Papa Ratzinger è il pontefice il cui nome è legato allo scontro sulla beatificazione di Pio XII; alla revoca della scomunica ai quattro vescovi (tra cui il negazionista Richard Williamson) ordinati illegittimamente da monsignor Lefebvre; alla reintroduzione del messale preconciliare nella cui preghiera del Venerdì santo si anela alla rimozione dell’«accecamento» (formula poi dallo stesso Ratzinger modificata) degli ebrei. Eppure «in questo momento - dice Sergio Itzhak Minerbi, esperto in economia, studioso autorevole dei rapporti tra Israele e Vaticano, famoso per la sua verve polemica - il problema principale non è più la questione del dialogo tra ebrei e cattolici: adesso c’è di mezzo la volontà della Santa Sede di delegittimare lo Stato d’Israele in tutti i modi».A cosa si riferisce, Minerbi? Da decenni la Chiesa cattolica ha riconosciuto lo Stato d’Israele. E lei stesso ha dato un giudizio positivo sulla visita compiuta il 17 gennaio scorso da Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma.«È vero, ma quella visita ormai è quasi un’eccezione che conferma la regola. Qualcosa è cambiato, ma in peggio. Innanzitutto Benedetto XVI ha visitato il Tempio maggiore dopo che il 19 dicembre scorso aveva riconosciuto le ”virtù eroiche" di Pio XII, sul cui eroismo molti sono scettici, e io ancora di più. Ma il 19 gennaio, in vista dell’Assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi prevista a ottobre, sono stati pubblicati i Lineamenta, una nuova edizione della vecchia politica mediorientale della Santa Sede che consiste nel delegittimare e addossare a Israele tutte le colpe del conflitto. Il punto 75, per citarne uno, dice che "la soluzione dei conflitti è nelle mani del Paese forte che occupa un Paese o gli impone la guerra. La violenza è nelle mani del forte ma anche del debole, che per liberarsi” - riecco la teoria della liberazione - ”può ugualmente ricorrere alla violenza a portata di mano. Diversi nostri Paesi (Palestina, Iraq) vivono la guerra e tutta la regione ne soffre direttamente, da generazioni. Questa situazione è sfruttata dal terrorismo mondiale più radicale". Così il Vaticano ha riassunto molto bene la propria posizione, del tutto differente dalla mia. Con questo paragrafo non siamo più all’equidistanza. Israele anzi diventa responsabile di avere causato il terrorismo mondiale».Lo considera un passo indietro?«No, è la continuazione senza lacuna di quanto fu in passato: la Santa Sede ha dimostrato ostilità a Israele da quando lo Stato esiste. Perché iniziassero delle normali relazioni diplomatiche si dovette attendere la fine del 1993, l’anno della stretta di mano tra Arafat e Rabin. In seguito, Giovanni Paolo II prima di visitare la Terra santa - che io chiamo Israele - ricevette Arafat in Vaticano».È recentissimo però l’«incidente spiacevole» - come lo ha definito Netanyahu rilanciando peraltro in seguito la sfida - dell’annuncio di nuove costruzioni di case nella parte araba di Gerusalemme. Un fatto che ha reso irosa Washington, e non solo.«Israele non ha mai accettato che Gerusalemme fosse esclusa nella sua interezza da abitazioni ebraiche. Certo tirare fuori la questione in quel momento non è stato un passo molto furbo».Ne è nata una crisi diplomatica pesantissima.«Oh, la maestra Clinton ha già dato la bacchettata al povero scolaro Netanyahu. Ma sul lungo periodo, come la Chiesa è fondamentalmente antiamericana, così Israele è a favore degli americani: per questo le posizioni sono diametralmente opposte, non abbiamo le stesse idee su come dirigere il mondo. La Chiesa sposa le tesi dei terroristi palestinesi».In che termini vede una possibile ripresa dei negoziati?«Da buoni commercianti, i palestinesi vogliono “vendere” tutto, anche il proprio ritorno al tavolo negoziale. Evidentemente pensano che senza negoziato ma con l’aiuto degli Usa otterranno di più. Sono costretto a essere scettico sull’esito positivo di un possibile negoziato. Ritengo che i palestinesi non abbiano alcuna fretta di arrivare al loro Stato mentre - follemente - sperano che alla fine, invece di spartire la Palestina, se la mangeranno tutta intera. Nel frattempo sono foraggiati da Ue e Onu con centinaia di milioni a fondo perduto senza che siano capaci di creare un solo posto di lavoro».Intanto Israele potrebbe giungere a un’azione di forza contro l’Iran? Lo studioso Moshe Vered ha avvertito che potrebbe essere l’inizio di una guerra di anni.«Non sono nel segreto delle cose, ma come semplice cittadino mi consta non che Israele stia preparando un attacco, bensì che stia cercando di indurre i Paesi occidentali a fermare l’Iran nel suo armamento. E non è la stessa cosa».La tesi di Georges Bensoussan, ripresa di recente da Anna Foa sull’Osservatore Romano, dice che l’elemento fondante di Israele fu il sionismo, solo più tardi sostituito dalla Shoah. E che basando su quest’ultima la propria identità politico-religiosa Israele «rischia il ripiegamento sulla catastrofe» invece che puntare sulla «speranza del futuro». Lei che emigrò in Israele alla fine della seconda guerra mondiale, cosa ne pensa?«Mah, quando si esamina la politica di uno Stato, o di un governo, piuttosto fatalmente ci sono quelli che mettono in risalto un elemento o un altro. Personalmente quando penso alla nascita di Israele evidenzio la volontà dei pionieri che costruirono il Paese e furono costretti a una guerra imposta da tutti i Paesi arabi coalizzati contro il nascente Stato, e la vinsero: questo mi pare l’elemento fondante».Come giudica a oggi i rapporti tra Benedetto XVI e Israele?«Se fossi una maestra di scuola difficilmente arriverei al ”lodevole”... È possibile che il Pontefice sia un po’ prigioniero della Curia. Resta il fatto che a inizio 2009, operazione Piombo fuso, in una settimana giunsero cinque espressioni di solidarietà ai poveri arabi palestinesi. Ma in otto anni di missili sulla testa dei civili, all’indirizzo di Israele non era arrivata una parola. Fondamentalmente nell’analisi politica che la Santa Sede fa sul Medio Oriente sbaglia totalmente, prendendo tra l’altro una posizione antiamericana così come successo in altre parti del mondo, per esempio in Algeria. C’è una simpatia strana ma insita nella loro dottrina per cui gli islamici sono tutti bravi e simpatici, mentre gli ebrei sono tutti disgraziati».Che vanno convertiti, lei sottintende?«Nei confronti degli ebrei viene sempre usata la parola riconciliazione; con i musulmani si parla di cooperazione».Ipotizzava un Ratzinger «un po’ prigioniero della Curia». Come definirebbe Benedetto XVI?«Antipatico, ma fondamentalmente credo una persona seria».Cioè?«Prendiamo il caso Williamson: ci vuole un coraggio civico enorme per rimettersi in causa, scrivere a 4500 vescovi e - invece che rifugiarsi nell’infallibilità del Papa - raccontare che sul caso non era stato informato. Bravo. Un punto a suo favore anche quando, già rientrato dalla visita ad Auschwitz, si corresse nella frase che aveva ripreso da quella di Giovanni Paolo II parlando di "sei milioni di vittime, un quinto della popolazione polacca”. Del resto anche l’idea di firmare le "virtù eroiche" di Pio XII alla vigilia della visita al Tempio mi sembra più nello stile di alcuni eminenti cardinali che del Papa... Ma forse sbaglio, non sono nel segreto delle cose. È un giudizio che non mi concerne, ma come dicevo non so se Benedetto XVI riesca a dominare la Curia o se sia la Curia a dominare lui: ho l’impressione che quest’ultima sia l’ipotesi più vera. Nella migliore delle ipotesi ha un’amministrazione che non funziona».Tornando al rapporto ebrei-cattolici, come potrebbe continuare il dialogo secondo lei, e su quali basi?«Io agirei in modo del tutto diverso da quanto si fa attualmente. Per dirne una, di recente c’è stata una riunione del Dialogo ebraico-cattolico in cui si è discusso di ecologia, un problema neutro su cui si trovano tutti d’accordo. Sarebbe stato meglio discutere di bioetica, tema che investe tutti i cittadini italiani nel momento in cui il governo di Roma ha sposato in pieno le tesi del Vaticano sulla procreazione assistita».Sta dicendo che l’Italia è asservita al Vaticano?«L’Italia non è asservita a nessuno. Ma nelle cose è un po’ come quell’automobilista che non conosce la strada e segue quello che gli sta davanti».Paola Bolis, il Piccolo, 17 marzo 2010

Nessun commento: