lunedì 1 marzo 2010



Sala ritrovo di kibbutz

Diritti umani e credibilità


Se non fosse terribilmente sinistra e tragica, la prospettiva - tutt’altro che remota, come spiega Fiamma Nirenstein ne Il Giornale del 17 febbraio - che l’Iran entri prossimamente a far parte del Consiglio dell’ONU per i diritti umani, potrebbe apparire un buffo refuso di stampa, un beffardo ossimoro, una facile battuta da teatro dell’assurdo. Con la sua sistematica repressione di qualsiasi forma di dissidenza, le reiterate condanne a morte di omosessuali e oppositori politici, le continue impiccagioni di gruppo nelle pubbliche piazze, il regime di Teheran potrebbe così, fra breve, trovarsi a vigilare, a livello planetario, sul rispetto dei diritti dell’uomo e delle minoranze, cercando - presumibilmente - di diffondere la propria sbrigativa visione del problema.Il Paese ha posto con forza la propria candidatura, e non sembra impossibile, al momento, che riesca a ottenere il voto favorevole della maggioranza dei membri dell’Assemblea generale. E ciò non sembra suscitare, nel mondo occidentale, alcun serio allarme, né, tanto meno, una riflessione di fondo sullo stesso significato dell’esistenza di tale Consiglio per i diritti umani: a che dovrebbe servire tale organismo? A tutelare questi diritti, o a schiacciarli, dovunque, ancora più sistematicamente?Per quanto riguarda Israele, è facile prevedere che, con o senza l’Iran, continuerà comunque a raccogliere, da parte del Consiglio, il più alto numero di condanne per violazioni dei diritti umani, conservando un primato che, come ricorda la Nirenstein, pare ormai spettarle di diritto. Le Nazioni Unite continuano, infatti, a essere quelle di sempre: quelle della risoluzione del ’77, sull’equiparazione di sionismo e razzismo, delle Conferenze antisemite di Durban e di Ginevra, del rapporto Goldstone, e il crescente peso, nell’Assemblea generale, di Paesi come l’Iran, il Venezuela, la Siria o la Libia rappresenta un chiaro segno di recrudescenza della torbida fascinazione esercitata dall’odio contro “l’entità sionista”. E pensare che la Dichiarazione di Indipendenza di Israele, nel 1948, menzionò per ben cinque volte, nel proprio breve testo, le Nazioni Unite, legando indissolubilmente i valori del nascente stato ebraico ai principi di pace, giustizia e fratellanza scolpiti, tre anni prima, nella Carta di San Francisco. Ma se alla Dichiarazione d’Indipendenza, pur tra mille difficoltà, Israele, nei suoi 62 anni di vita, è sempre rimasta fedele, quella di San Francisco è diventata, da tempo, carta straccia.Francesco Lucrezi, storico, http://www.moked.it/

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