martedì 23 marzo 2010


Tobia Zevi

«Combatto quell'idea di Comunità chiusa»

Roma - Tobia Zevi 26 anni, è il più giovane consigliere dimissionano (ed è figlio di Luca, architetto e a sua volta a lungo esponente della Comunità, ed è nipote di Tullia, 91 anni, storica presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane). Ex leader dei Giovani ebrei, Tobia è politicamente attivo nel Pd romano. La sua contestazione alla presidenza Pacifici non è pesante nei contenuti ma riflette la preoccupazione di molti giovani ebrei progressisti romani.Qual è il punto, Zevi? «Con questo metodo di governo, vediamo il pericolo di un ebraismo monoidentitano. Cioè che per gli ebrei italiani l'identità diventi un fatto esclusivo. Quindi il pericolo di una Comunità chiusa in se stessa che corre il rischio di una deriva identitaria. Da questo punto di vista le nostre dimissioni, che vengono percepite come un fatto negativo, in realtà possono rappresentare un'occasione per riflettere su un problema».In sostanza cosa contestate a Pacifici? «Vorrei dire che, secondo me, Riccardo è un dirigente capace, con un grande consenso. Il vero problema è la paura. Mi spiego. In Italia la paura attraversa molte pieghe della società, visto che ci stiamo trasformando in un Paese multietnico e multiculturale. Molte istanze portano a localismi e odiose forme di settarizzazione. Gli ebrei non sono più i “diversi” per eccellenza, come avveniva in passato, ma sono ormai diversi tra i “diversi”. Quindi il timore è che la paura attraversi anche la nostra Comunità, la porti sempre più a chiudersi in se stessa, ripeto, per questa deriva identitaria, magari a causa dei tanti pericoli corsi in passato e che ora riguardano Israele, per esempio con l'Iran». Invece di questa Comunità «chiusa» Zevi ha in mente un modello diverso: «Un ebraismo che si occupi dei diritti, della difesa dei più deboli, ovviamente della propria vita religiosa e culturale ma in una visione di scambio e di incontro con le nuove realtà della nostra società. Ecco, tutto questo adesso non mi sembra ci sia. Comunque, noi dopo le dimissioni ci rimboccheremo le maniche per lavorare. Magari non nel Consiglio ma certamente nella Comunità».Paolo Conti, Il Corriere della Sera, 23 marzo 2010

Nessun commento: