venerdì 21 maggio 2010


“Berlino 1940″ di Nadia Crucitti

Città del Sole Edizioni
All’ascesa di Hitler, molti degli artisti che vivevano in Germania emigrano perché ebrei, altri vanno via per rifiuto della dittatura. L’attore Veit Harlan rimane perché la nuova ideologia gli piace, perché ammira la sontuosità scenografica delle adunate naziste, e soprattutto perché sta per raggiungere il suo vero obiettivo, la regia cinematografica. E resta anche perché crede che l’artista possa creare rimanendo estraneo al suo tempo, senza subire condizionamenti politici e pesanti compromessi.Vanesio e superficiale, arrivista e amante delle belle donne, Harlan non è antisemita ma, divenuto ormai famoso grazie ai suoi rapporti con il potere, pagherà la sua scelta: Goebbels, Ministro della Propaganda nazista, lo obbligherà a girare nel 1940, in pieno conflitto bellico, Jud Süss, il film assurto a simbolo dell’antisemitismo, vero e proprio strumento di propaganda della persecuzione contro gli ebrei.Questo romanzo racconta la storia di un uomo e di una nazione che preferirono, davanti all’instaurarsi di una dittatura che aveva già in sé i germi del sistema criminale, non vedere e non sentire, mettendo a tacere la propria coscienza ed evitando di scegliere. Ed è al contempo un bellissimo affresco della storia del cinema degli anni ’30 e ’40, in un periodo nel quale la sua potenza artistica e comunicativa si andava imponendo agli intellettuali e alle masse.
Questa la sua presentazione:
Sono pochi gli scrittori che hanno una vita reale avventurosa, di norma gli scrittori amano vivere le molteplici vite dei loro personaggi, mentre la loro scorre tranquilla, con ritmi quasi ascetici, anche perché sarebbe difficile conciliare scrittura e avventura. Qualcuno lo ha fatto e lo fa, ma non io. Ecco perché queste saranno notizie minime. Sono nata nel 1955 a Reggio Calabria, da padre autoctono e madre toscana, e non ci crederete, ma la mentalità più aperta -soltanto teoricamente, però- l’aveva mio padre, il quale svolgeva le sue funzioni di pater familias sotto la supervisione di mia madre. Visto quindi che in casa gestiva tutto lei, la mia educazione ha seguito i rigidi binari su cui doveva marciare una ragazza del Sud, secondo l’austera e “nordica” mentalità materna. Mi sono sposata molto giovane, e ho un figlio di ventisette anni, che è sempre stato il mio primo critico, anche perché ha avuto il tempo di diventarlo, visto che il primo libro me lo ha pubblicato una piccola casa editrice romana, nel 1990. Anzi no, per la verità il primo libro è stato una silloge di poesie, quasi orrenda, eccetto qualche verso che ho salvato. Naturalmente, come succede spesso, era stato un libretto pubblicato a pagamento, ma a mia discolpa, per questo atto di stupida megalomania, devo dire che ancora non conoscevo i meccanismi dell’editoria, alcuni truffaldini.Il mio primo racconto l’ho scritto a quindici anni, e anche questo era quasi orrendo, infatti ho avuto il buon gusto di non finirlo. Da allora in poi ho continuato a scrivere, alternando poesie e racconti, che non mi pento di aver buttati perché le carte si ammucchiavano e dovevo fare un po’ d’ordine, e poi si trattava di semplici tentativi in vista dell’impegno più gratificante che sognavo: un romanzo. Il primo che scrissi era proprio brutto, pieno di frasi fatte e luoghi comuni, ma ne fui orgogliosa per quasi tre anni, poi lo strappai. Il secondo e il terzo fecero la stessa fine. Nei lunghi anni impiegati a scrivere narrativa corposa ci stavano anche drammi teatrali, recensioni per una rivista locale, sempre racconti e poesie, il lavoro di insegnante elementare e di casalinga, la laurea, e il divertimento nel crescere mio figlio, che è la persona con la quale ho riso di più.Infine, dopo essermelo tenuto dentro per circa sette anni, è venuto fuori il romanzo che mi ha qualificato scrittrice agli occhi degli altri: Casa Valpatri. Casa Valpatri vinse il concorso e io mi ritrovai con il libro pubblicato dalla Mondadori. Una notorietà improvvisa che mi fece paura, con inviti a presentare il libro, e interviste che mi terrorizzavano perché mi distoglievano dalla quiete in cui trascorrevo le mie giornate, quiete indispensabile per poter scrivere. http://utilizerapagain.blogspot.com/

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