mercoledì 12 maggio 2010


deserto del Neghev

Da oltre un anno ho avuto l'onore e il piacere di collaborare a questo spazio quotidiano (per me settimanale). La formula editoriale si apre con due brevi interventi, una voce proveniente dai maestri del rabbinato italiano, e una voce proveniente dalle file dei laici (nel senso etimologico di "non persone di culto"). Per giusta e riconosciuta deferenza, la voce dei secolari è la seconda, e per accedervi – sullo schermo – bisogna transitare attraverso la prima. Cosí, l'ordine verticale dell'impaginazione offre il vantaggio di una prima lettura sempre interessante, profonda e istruttiva. E tuttavia, nel corso di queste riflessioni quotidiane, insorge un piccolo dubbio e si fa luce una modesta richiesta. E' usuale che i maestri citino altri maestri che li hanno preceduti. Chi legge questo notiziario nota che quasi sempre queste voci dell'eterna saggezza ebraica appartengono a rabbini che sono vissuti in piccoli villaggi della Galizia, in cittadine del Marocco, in provincie semi-rurali dell'Ungheria o della Bielorussia, in paesotti della Valle del Reno. A volte una potente voce riemerge dall'Andalusia, o dalla Genizàh del Cairo. E, con grande autorità, dall'antica Terra d'Israele. Ma mai, o quasi mai, dall'Italia. Ma è possibile che la binàh (intelligenza) e la chokhmàh (saggezza) abbiano saltato a pié pari la Penisola? Non sarebbe possibile, magari con qualche sforzo di archeologia e di archivistica, far riudire le voci, che pure ci debbono essere state, di qualche maestro dell'Ebraismo italiano?Sergio Della Pergola,Università Ebraica di Gerusalemme, http://www.moked.it/

Nessun commento: