mercoledì 19 maggio 2010


Kibbutz in Galilea

Un sottile confine

E' ben nota la storia talmudica dei due viandanti nel deserto rimasti con una sola borraccia d'acqua e del dilemma del suo proprietario se condividerla col suo compagno, con la certezza della morte per entrambi o consumarla tutta lui, con la speranza di arrivare a un'oasi. Ne parla Elie Wiesel in "Celebrazione Talmudica" e di recente è stata evocata anche su queste pagine. La soluzione di cedere tutta la borraccia all'altro non sposta il problema, perché a questo punto l'altro si troverebbe a sua volta proprietario e la questione ricomincerebbe dallo stesso punto (ognuno è Altro per l'Altro, il che rende vuota la risposta "etica" del privilegio assoluto dell'Altro). La soluzione della divisione è sostenuta nel Talmud da Rav Peturì, "in modo che nessuno dei due veda la morte dell'altro. Rabbì Akivà afferma che il proprietario della borraccia d'acqua deve bere l'acqua, perché l'amore per se stessi deve superare quello per gli altri e forse così il proprietario dell'acqua, salvando se stesso, potrà salvare anche l'altro. Il comune sentimento potrebbe invece portarci a dire che si divide l'acqua a metà, ma così è certo che entrambi moriranno, mentre la Torà, la legge, è una Torath Chaim, una legge di vita che deve insegnarci quale deve essere il modo migliore per far prevalere la vita sulla morte, anche se talvolta sembra che venga sacrificata la vita." (sintesi di rav Bahbout). Questa è dunque la soluzione scelta dal Talmud, come sempre assai ricca di buon senso: perché almeno uno sopravviva il proprietario della borraccia deve "scegliere la vita", la sua, in questo caso. Solo in questa maniera fra l'altro è possibile aiutare gli altri, come ricordano peraltro anche le linee aeree quando invitano i passeggeri "in caso di depressurizzazione" a indossare prima loro la maschera ad ossigeno e poi ad aiutare gli altri. Si parva licet componere magnis, il buon senso è lo stesso.Cito questa storia non perché mi senta in grado di discuterne qui i risvolti religiosi o generalmente filosofici, ma perché essa ha un ovvio senso politico attuale. La difesa ebraica di Israele contro quelli che ritengono (a torto o a ragione, qui non importa) di essere danneggiati dalla sua esistenza si basa soprattutto sul diritto alla vita del popolo ebraico e dello Stato che ne difende l'esistenza. I critici accusano chi privilegia la vita di Israele su altri diritti di essere tribalista, egoista, ingiusto, incapace di pensare in termini etici. Per questa ragione i critici rivendicano talvolta di essere più ebrei loro, i tiepidi per Israele, dei difensori di Medinat Israel, considerandosi solo loro eredi dell'universalismo ebraico, prosecutore del nostro retaggio di giustizia. Ma questo universalismo della nostra tradizione è solo metà del discorso: noi siamo portatori del monoteismo, che per vocazione è universale e di un codice etico che ne deriva; ma a noi stessi applichiamo una serie di norme molto più complesse e difficili di quelle universali o noachiche. La nostra tradizione è ben consapevole della singolarità (e dunque particolarità) dell'identità ebraica come "am echad", che per la Torah va difesa anche ai danni di Filistei e Cananei e tutti gli altri popoli ostili al nostro (magari giustamente ostili, dal loro punto di vista). Il che non significa naturalmente che la potenza e la guerra siano di per sé buone, nella nostra tradizione, ma che il diritto all'autodifesa va condotto fino in fondo, come dimostra l'episodio di Amalek, che in fondo era forse anche lui un indigeno invaso dal "colonialismo sionista", che praticava la "guerriglia"... Forse anche il nostro universalismo è come la borraccia: bisogna "scegliere la vita" e in particolare la vita di Israele anche a costo di non essere equanimi, kantianamente universalizzabili o rowlesianamente accecati da un velo che rende tutti uguali. Lo insegna anche Rashi nella celeberrima prima nota di commento a Bereshit: la Torah è scritta così, ci spiega, anche per insegnarci a difendere il nostro diritto su Eretz Israel, un diritto che da millenni è stato contestato dagli altri popoli e riaffermato da noi. Con gli argomenti, ma anche con le armi. Ripensare alla borraccia e ai due viandanti in un momento in cui molti dicono esplicitamente di voler distruggere Israele, di volerci cacciare da Sion e la nostra autodifesa è delegittimata e criminalizzata, può aiutarci a capire qual è il nostro compito storico.Ugo Volli, http://www.moked.it/

Nessun commento: