giovedì 27 maggio 2010


Menachem Klein: “Credere nel compromesso”

Parlare con uno dei principali protagonisti del travagliato processo di pace israelo-palestinese non è occasione di tutti i giorni. Menachem Klein, professore di Scienze Politiche all’Università Bar Ilan e tra i firmatari degli accordi di Ginevra del 2003, lavora a stretto contatto con i leader mediorientali da molti anni. A Firenze come lettore del prestigioso European University Institute, è stato invitato dalla Comunità ebraica a tracciare una panoramica sugli ultimi sviluppi e sulle prospettive future nei rapporti diplomatici tra governo israeliano e palestinese.Il suo bilancio sulla situazione attuale è molto negativo. “Sono passati 43 anni dalla Guerra dei sei giorni, 17 anni dagli accordi di Oslo, 10 anni dal summit di Camp David e sette dagli accordi di Ginevra. Ma non è ancora tempo di pace, ogni tentativo fatto per arrivare ad una soluzione positiva della controversa è fallito”. La colpa, secondo il professor Klein, è nella grave miopia e nello scarso potere coercitivo esercitato da entrambi gli schieramenti politici. “Manca una leadership forte”, ripete più volte nel corso della serata. Leadership debole che “non è in grado di contrastare in modo adeguato la radicalizzazione religiosa dei coloni e dei supporter di Hamas” e che “rischia di causare danni sempre maggiori”. Klein si sofferma sulla questione degli insediamenti dei coloni nella West Bank. “Da quando Israele ha firmato gli accordi di Oslo, il numero dei coloni è raddoppiato. È un grosso problema, anche perché è stato causato intenzionalmente”. "Gli insediamenti sono un progetto di rilevanza pubblica e non privata": ruota intorno a questo concetto gran parte del suo intervento, in cui insiste molto sul fatto che i vari partiti succedutisi al governo da Rabin in poi abbiano sempre avallato le iniziative dei coloni. “Anche quello di Ehud Olmert, che prometteva accordi generosi alla controparte palestinese e allo stesso tempo favoriva l’espansione degli insediamenti”. Per Klein c’è una sola possibilità per la fine delle ostilità: “Dobbiamo raggiungere un compromesso”. La gente è stanca, dice. “Non credo che gli israeliani possano ancora resistere a lungo combattendo per la propria sopravvivenza ogni giorno”. Utilizza una metafora per descrivere il problema: “Le colonie e tutte le altre questioni in sospeso sono un continuo e fastidioso mal di testa”. Israele ha tante motivazioni per l’atteggiamento (“talvolta aggressivo”) tenuto finora nei confronti dei palestinesi, spiega il professore. Ma resta un fatto, insiste, “ed è che lo stile di vita adottato dalla sua popolazione non è normale”. Il problema si dilata anche oltre i confini nazionali e diventa un nodo da sciogliere anche a livello internazionale. “I politici israeliani sono molto preoccupati di perdere il supporto del mondo liberal occidentale”, rivela Klein. Non solo estrema sinistra e estrema destra come antagonisti dello Stato ebraico: il partito dell’astio contro Israele guadagna crescenti consensi al centro. “È un trend che deve far riflettere i nostri governanti”. Ma nelle sue parole c’è spazio anche per un timido ottimismo. Una convinzione si è fatta largo negli anni: “Se nel passato ci siamo seduti ad un tavolo di pace, questo significa che un accordo è tecnicamente possibile”. Ripartire da Ginevra 2003, dunque. Trattative che non hanno portato alla pace ma che hanno messo a punto una tecnica negoziale valida e da riproporre in futuro: “Composizione dei team incaricati di negoziare, modalità di conduzione delle trattative, scelta delle tematiche da affrontare, individuazione degli eventuali punti di incontro e firme sui documenti apposte dalle due parti senza essere delegate a terzi”. Le premesse per sviluppi positivi ci sono, ribadisce. “Passare dalla teoria alla pratica dipende solo da noi”. Una mano la possono dare i numerosi intellettuali e uomini di cultura che Israele può mettere in campo.Adam Smulevich http://www.moked.it/

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