lunedì 21 giugno 2010


Giordano

Perché Israele

di Francesco Pullia, 18 giugno 2010 Notizie Radicali
Sciocco, irresponsabile, criminale e, per Israele stesso, disastroso. Così Bernard-Henri Lévy aveva definito il blitz contro la “Mavi Marmara” e la sua flottiglia esprimendo la propria collera, di fronte alla tentazione, tipica di certi dirigenti israeliani, “di credersi soli al mondo, comunque reietti, e di agire in conseguenza”. “L'autismo”, proseguiva il filosofo ebreo e francese, “non è una politica. Né, ancor meno, una strategia”. Posizione più che condivisibile soprattutto perché espressa da un pensatore da sempre in prima fila nel versante dei diritti umani. L’autore del celebre libro “La barbarie dal volto umano” (vale a dire il comunismo), che insieme alle opere del collega André Gluksmann riuscì a mandare su tutte le furie negli anni Settanta i sostenitori europei del totalitarismo comunista, non è un intellettuale opportunista, di quelli, per intenderci, che lancia il sasso e nasconde la mano. No. Ha sempre mantenuto una propria coerenza, insieme a un’inconfondibile buona dose di onestà. Così come nel suo lucido articolo uscito sul “Corriere della Sera” lunedì 14 giugno in cui, pur continuando a contestare le sciagurate e avventate decisioni assunte dal governo israeliano, mette giustamente a nudo la malafede della (dis)informazione mondiale sempre pronta a schierarsi contro Israele ogniqualvolta lo stato ebraico commetta qualche passo falso. Tra le tante riflessioni scritte all’indomani del tragico episodio, quella di Bernard-Henri Lévy spicca per intelligenza e non appiattimento al solito stucchevole coro antisraeliano e antiebraico. Innanzitutto, il filosofo sfata la leggenda che vorrebbe il blocco di Gaza “totale e spietato” perché prenderebbe “l’umanità in pericolo”. La realtà è ben diversa. Il blocco, infatti, riguarda soltanto armi e materiali per la loro fabbricazione e “non impedisce il passaggio, tutti i giorni, in provenienza da Israele, di 100, 120 camion carichi di vivere, medicinali, materiale umanitario di ogni genere; l’umanità – afferma Bernard-Henri Lévy - non è “in pericolo” a Gaza; dire che “si muore di fame” nelle strade di Gaza-City significa mentire”. In secondo luogo, “ora che il carico della flottiglia ha riempito la sua funzione simbolica, ora che quest’atteggiamento ha permesso di cogliere in fallo lo stato ebraico e di rilanciare come mai prima d’ora il meccanismo della sua demonizzazione, ora che sono gli israeliani, fatta l’ispezione, a voler inoltrare gli aiuti verso i presunti destinatari, Hamas blocca i suddetti aiuti al check point di Kerem Shalom e ve li lascia pian piano marcire. Al diavolo le merci passate fra le mani dei doganieri ebrei! Visto che i bambini di Gaza non sono mai stati altro, per la gang di integralisti islamici andati al potere tre anni fa con la forza, che scudi umani, carne da cannone o vignette medianiche, i loro giocattoli o i loro desideri sono l’ultima cosa di cui laggiù ci si preoccupi”. La verità è che la vicenda della Mavi Marmara, con i suoi pseudopacifisti, è servita ancora una volta come ennesimo pretesto per scatenare “un turbine di odio e di follia”. “Israele”, come ha notato Gianni Codovini, autore di due libri illuminanti, entrambi editi da Bruno Mondadori, sulla storia e sulla geopolitica del conflitto arabo, israeliano, palestinese, “è vittima, doppiamente e tragicamente vittima: dell’isolamento e dell’acquiescenza internazionale. E questo ricorda - purtroppo - un passato che non passa”. E dire che non più di tre anni fa il Manifesto dalla sinagoga di Firenze, alla base del satyagraha mondiale per la pace di Marco Pannella, sottolineava la necessità di “promuovere, costruire e realizzare un’alternativa strutturale alla minaccia, alla probabilità di un prossimo tremendo conflitto che, divampando dal Medio Oriente, si estenda rapidamente al mondo intero”. E continuava: “è urgente che Israele operi nel quadro giuridico, civile, politico, dell’Unione europea, quale regione - per ora, sottolineiamo: per ora - di frontiera di una comunità istituzionale di mezzo miliardo di persone, con le sue regole, leggi, giurisdizioni, il suo parlamento democratico e un suo potere esecutivo (di certo imperfetto e inadeguato, ma pur sempre corrispondente e legittimato dai suoi trattati costitutivi)”. Lo stesso testo poneva la questione spinelliana e caparbiamente pannelliana del superamento delle sovranità nazionali produttrici di “guerre civili contro le libertà e la vita dei propri popoli e dei loro membri” e aggiungeva: “I palestinesi hanno innanzitutto il diritto di non vedersi imposto una qualsiasi forma di stato che non sia espressione e forza dei loro diritti umani, politici, sociali, di coscienza”. Altro che due popoli, due stati! Si trattava e si tratta di ridisegnare con coraggio un nuovo assetto nel sud del Mediterraneo, lì “dove affondano le radici più profonde dell’Europa”. Speriamo che questo progetto non venga confinato nei reami dell’utopia e sconfessato ancora dal sangue.

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