venerdì 18 giugno 2010

Khaled el Nabawy

Liraz Charhi
Fa un film con un’israeliana, l’Egitto lo processa

Anche gli attori si beccano le loro fatwa. Ora tocca a Khaled el Nabawy, star del cinema egiziano, che si è visto piovere addosso un’inchiesta della locale associazione degli attori. L’accusa ha un sapore piuttosto nazionalista: «normalizzazione » dei rapporti «con Israele». Che dietro ci sia un odio religioso o razziale, contro gli ebrei è più che un sospetto, visto che tra le bancarelle della fiera del libro del Cairo, soltanto tre anni fa, si trovava in bella vista un’edizione nuova di zecca del Mein Kampf di Adolf Hitler. Sembra comunque che a Nabawy, di Israele, piaccia più che altro la collega Liraz Charhi, che del resto vanta numerosi ammiratori. Insieme, i due hanno interpretato il film americano di Doug Liman, “Fair Game”, con Sean Penn e Naomi Watts. Nei cinema italiani lo si potrà vedere dal 22 ottobre, ma le polemiche hanno già fatto scoppiare un caso. Da maggio l’attore egiziano è bersagliato da critiche aspre per aver osato abbracciare la Charhi in pubblico, addirittura sul tappeto rosso di Cannes, dove il film è stato presentato in anteprima mondiale. Alla reprimenda si aggiunge ora una fase istruttoria, guidata da Ashraf Zaki, una specie di faraone della corporazione degli attori, che come le altre associazioni professionali egiziane, vieta qualsiasi tipo di normalizzazione con lo Stato ebraico e condanna fermamente chi non aderisce al boicottaggio. Non si rendono conto che la protesta contro il blocco israeliano a Gaza è un controsenso, se loro stessi impongono sanzioni assurde perfino ai rapporti personali. In quel contesto, anche le attività economiche risultano influenzate. Tanto che tutte le aziende arabe impongono ai loro partner occidentali di non intrattenere relazioni commerciali con Israele, se vogliono proseguire il business. E non pochi cedono al ricatto. Incurante del ridicolo, Zaki annuncia che convocherà Nabawy questa settimana: era a conoscenza della cittadinanza israeliana di Charhi? Se sì, lo dichiareranno colpevole, condannadolo alla sospensione dalla congrega degli attori per un periodo da determinarsi. Tra le aggravanti, per la requisitoria, la Charhi è «un’attrice israeliana di origini americane, che ha servito nell’esercito per due anni prima di dedicarsi alla recitazione ed è apparsa in alcuni film americani». Lei intanto spiega che «la foto di noi due non cambiava nulla. Nabawy sapeva già che avrebbe pagato un prezzo per la nostra collaborazione sullo schermo. Prima di essere stati scelti per il ruolo, c’era un altro attore egiziano che si è ritirato dalla produzione dopo aver ricevuto minacce di allontanamento da parte dell’associazione» di cui faceva parte. Si aspettava che toccasse a lei, semmai, la parte della vittima del boicottaggio, tanto che «a quel punto ero quasi certa che mi avrebbero allontanata. Ma poi arrivò Nabawy, un attore professionista interessato a lavorare. Quando ci siamo incontrati alle prove ho notato che era un po’introverso e ho aspettato prima di avvicinarmi ». Man mano che le riprese continuavano, «siamo diventati amici. Interpretavamo un fratello e una sorella e non ci è sembrato strano». Fino alla prima, a Cannes. «Quando hanno sistemato i posti a sedere, ci hanno messo insiemee a nessuno dei due è sembrato strano », racconta l’attrice, ma Nabawi «non ha detto niente quando ci hanno fotografato insieme. Ero certa che si sarebbero arrabbiati con lui, ma non pensavo che si sarebbe giunti a una procedura di sospensione. Sono scioccata». Consideravano il film «come lavoro, non come politica. E speravamo che il fatto di vederci insieme facesse passare una sorta di messaggio. Ma non avrei mai immaginato che le voci contro di lui sarebbero state così ostili», conclude la Charhi, sorpresa. Ingenua, avrebbe dovuto sapere che, in Medio Oriente, chi cerca la pace e la comprensione reciproca non è apprezzato, tranne che in Israele. da LIBERO 17/06/2010

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