venerdì 18 giugno 2010



lettura a Gerusalemme


Il 'reporter-spia' è tornato a lavorare

ROMA — Primo pomeriggio di ieri. L’uomo con i baffetti che maneggia una telecamera in un corridoio al secondo piano del palazzo della Stampa estera — a tre portoni dalla sede del partito di Silvio Berlusconi, in via dell’Umiltà— è accusato di spionaggio. O meglio, di essere forse un agente segreto di alto livello. Forse, perché l’accusa è stata mossa con una dose di dubbio: «Con ogni probabilità» alto livello. E non spia di un Paese qualsiasi, bensì della Repubblica islamica di Mahmoud Ahmadinejad. Lunedì, lo stesso uomo era alla presentazione di un rapporto sul terrorismo internazionale. Lì di spioni ce ne saranno stati di certo: lo studio era della Fondazione Icsa, Intelligence culture and strategic analysis, un centro dell’ex sottosegretario Marco Minniti e dell’ex capo dell’Aeronautica Leonardo Tricarico che si è ispirato per il rapporto ai propri convegni, spiegava un comunicato, con «la presenza di esperti di terrorismo, analisti della difesa e dell’intelligence...». Una storia italiana. Anzi, più precisamente una storia italo-iraniana, perché a fondersi sono uno spirito mediterraneo e uno, benché più orientale, non troppo diverso. L’uomo con i baffi di via dell’Umiltà è Hamid Masoumi Nejad, 51 anni, iraniano, corrispondente da Roma della Islamic Republic Iran Brodcasting, Irib. Giornalista di una tv di Stato, in passato stipendiato dall’Iran Air. Il 3 marzo è stato arrestato in un inchiesta chiamata Sniper, cecchino. Mandati di arresto: nove in tutto. Accusa per Masoumi: associazione a delinquere finalizzata all’illecita esportazione verso l’Iran di armi e sistemi di armamento. Origine delle indagini: il sequestro, in Romania, di 200 mirini ottici per tiratori scelti prodotti da una ditta italiana. Il 29 aprile — dopo che Teheran aveva protestato, la Farnesina aveva reagito sottolineando l’indipendenza della magistratura dal governo e il caso aveva raggiunto un’importanza tale per le relazioni tra i due Paesi per la quale Masoumi ha ricevuto in carcere una telefonata del ministro degli Esteri iraniano Manouchehr Mottaki — il giornalista di Irib è stato messo agli arresti domiciliari. Con permesso di uscire per lavorare. Come ieri. Di giorno, l’accusato di spionaggio è tenuto a esercitare l’attività giornalistica nella sede della Stampa estera. La conferenza dell’Icsa era lì, un piano sotto al suo ufficio. Per questo Masoumi era libero di assistere, anche se poi, diplomaticamente, ha evitato di incrociare il ministro dell’Interno Roberto Maroni. Da quando è fuori di cella, il corrispondente dell’Irib, che si definisce innocente, ha prodotto una trentina di servizi per la tv. Se una personalità va alla Stampa estera, la può intervistare. Da oggetto di cronache, però, il giornalista interviste non ne dà. Dice Masoumi: «Per rispetto verso il dottor Armando Spataro, non ne rilascio anche se potrei. Non vorrei influenzare». Spataro è il procuratore aggiunto di Milano che lavora sull’inchiesta, vicina all’ora della decisione: proscioglimento o rinvio a giudizio? Fosse per Elisabeth Missland, francese che si occupa di cinema dalla stanza 5 della Stampa estera, seduta a fianco dell’iraniano, la scelta non deve essere che la prima. «Se è così pericoloso, come mai Masoumi è qui? Vedo da anni ciò che fa. Spia? Mi viene da ridere», sostiene. Un altro compagno di stanza, Maarten Lulof Van Aalderen, olandese, dei corrispondenti esteri è il presidente. Di fronte a questa storia nella quale si incrociano ragioni di Stato e tesi ardue da verificare per occhi comuni, osserva: «Non è stata una mia decisione che Masoumi possa lavorare, ma del giudice. Non me la sento di andare contro la sua decisione. E non sta a me decidere la sorte del processo». dal CORRIERE della SERA, 17/06/2010

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