Ci sono dei giorni in cui la lettura dei giornali mostra con chiarezza il suo essere schierata contro Israele. Oggi è uno di questi giorni. I temi principali sul tappeto sono due, legati fra di loro. Il primo è l’offerta di Netanyahu di bloccare di nuovo le costruzioni negli insediamenti al di là della linea armistiziale del ‘49 (la linea verde), come pretende l’Autorità palestinese, in cambio dell’accettazione da parte palestinese del carattere nazionale ebraico dello Stato israeliano. Come riferisce correttamente Aldo Baquis sulla Stampa, si tratta di una notevole concessione, che presenta per il premier israeliano dei costi politici importanti, di fronte a un’accettazione di principio. La sorte degli insediamenti non è decisa, è chiaro che almeno alcuni saranno annessi a Israele in ogni possibile trattato di pace, ma i palestinesi pretendono di fermarli tutti; d’altro canto è evidente che il principio “due stati per due nazioni” perde ogni senso se a fianco di uno stato arabo palestinese non si realizza uno Stato ebraico israeliano. Certo accettando questo principio, i palestinesi debbono rinunciare all’idea del “rientro” dei “profughi”; ma tutti sanno che per Israele questo “rientro” di milioni di nemici non è sostenibile e che la base della trattativa è proprio l’accettazione dell’altro per quel che è. Dunque il rifiuto immediato del presidente palestinese Abu Mazen preclude la possibilità di un accordo e rende futile la trattativa. Come titolano oggi i giornali su questo: “Anp: Inaccettabili le proposte di israele” (Il Messaggero) “La pace al tempo dei ricatti” (Antonio Picasso su Liberal: titolo particolarmente velenoso, perché squalifica come ricatto il “do ut des” che è la base di qualunque trattativa); ” ‘Stop colonie, ma Israele è degli ebrei’ offerta di Netanyahu, no dei palestinesi” (Repubblica); “Medio Oriente. Lite sulla moratoria Netanyahu-Anp” (Il Sole). Insomma dopo aver a lungo predicato che Israele dovrebbe rinunciare alle costruzione nelle “colonie”, nessuno spiega perché l’Autorità palestinese rifiuta le trattative anche dopo che una possibilità di sospensione è offerta.Perfettamente analogo il percorso sull’emendamento alla legge di cittadinanza che modifica il giuramento. I nuovi cittadini naturalizzati, invece di giurare fedeltà allo stato di Israele, dovranno farlo, se la legge passa, a Israele stato ebraico e democratico, il che naturalmente non significa affatto una conversione (tutti sappiamo dell’estrema diffidenza del rabbinato israeliano per le conversioni vere, figuriamoci se Israele vuole estorcere conversioni). A parte il fatto che in molti stati arabi la cittadinanza è concessa e con estrema avarizia, solo ai musulmani, che male c’è nello stabilire il carattere democratico e nazionale di uno stato. In maniera più o meno esplicita, nelle costituzioni se non nelle formule di cittadinanza, lo fa la maggioranza degli Stati. E invece i giornali, quasi tutti, pretendono che la scelta sia di carattere religioso e antidemocratico del giuramento, seguendo un analogo velenoso equivoco dal sinodo della Chiesa sul Medio Oriente. Così per esempio giornali ideologicamente anti-israeliani come Liberazione, Giorgio sul Manifesto, Monteforte sull’Unità, Il Fatto quotidiano ma anche Il Secolo d’Italia e Bianchi su Il Giorno, Carlino, Nazione).Nel frattempo proseguono le pratiche di boicottaggio e intimidazione per chiunque si dichiari ebreo o vicino a Israele: ne patla Buffa sull’Opinione a proposito delle Coop (una caso che si sta riaprendo), ma lo stesso vale per Saviano che alla manifestazione di Roma ha raccontatto della sua vicinanza all’ebraismo (Barba su Libero) e Raiz, leader del grupo musicale degli Almamegretta (Il Mattino), colpevole dello stesso reato. Oggi in rettorato a Teramo si decide sul caso Moffa, il docente che usa un suo master sul medio oriente per diffondere tesi negazioniste (La Discussione). E’ interessante che Moffa sia difeso da Rinascita, il quotidiano del “socialismo nazionale” (la cui posizione si capisce meglio invertendo i due termini con cui si definisce e leggendo nazionale socialismo).In questo quadro molto ostile, non si può non inserire anche il pezzo di Roger Cohen pubblicato dallo Herald Tribune. Cohen che scrive sul “New York Times” è uno dei più importanti giornalisti sostenitori dell’asse Obama-JStreet (la cui filiale europea è quel Jcall che si è appena opposto al convegno pro-Israele di Fiamma Nirenstein). Nel suo articolo spiega che ha fatto colazione con Ahamadinedjad quando il “presidente” iraniano è passato da New York per parlare all’Onu. Nel fortunato colloquio l’ha trovato antipatico ma innocuo e quindi dobbiamo smettere di preoccuparci dell’atomica iraniana. Ipse dixit, sulla base di un caffé lungo e un piatto di uova fritte al bacon, dobbiamo immaginare. Vale solo la pena di ricordare che l’anno scorso, quando scoppiò la protesta contro il taroccamento della rielezione di Ahamadinedjad e la terribile repressione che ne seguì, il buon Cohen aveva appena pubblicato una serie di articoli, sempre sul NYT, in cui lodava la ragionevolezza del regime iraniano e la sua crescente tolleranza. Ugo Volli,12 ottobre 2010,http://www.moked.it/
giovedì 14 ottobre 2010
kibbutz Ruhama
Voci a confronto
Ci sono dei giorni in cui la lettura dei giornali mostra con chiarezza il suo essere schierata contro Israele. Oggi è uno di questi giorni. I temi principali sul tappeto sono due, legati fra di loro. Il primo è l’offerta di Netanyahu di bloccare di nuovo le costruzioni negli insediamenti al di là della linea armistiziale del ‘49 (la linea verde), come pretende l’Autorità palestinese, in cambio dell’accettazione da parte palestinese del carattere nazionale ebraico dello Stato israeliano. Come riferisce correttamente Aldo Baquis sulla Stampa, si tratta di una notevole concessione, che presenta per il premier israeliano dei costi politici importanti, di fronte a un’accettazione di principio. La sorte degli insediamenti non è decisa, è chiaro che almeno alcuni saranno annessi a Israele in ogni possibile trattato di pace, ma i palestinesi pretendono di fermarli tutti; d’altro canto è evidente che il principio “due stati per due nazioni” perde ogni senso se a fianco di uno stato arabo palestinese non si realizza uno Stato ebraico israeliano. Certo accettando questo principio, i palestinesi debbono rinunciare all’idea del “rientro” dei “profughi”; ma tutti sanno che per Israele questo “rientro” di milioni di nemici non è sostenibile e che la base della trattativa è proprio l’accettazione dell’altro per quel che è. Dunque il rifiuto immediato del presidente palestinese Abu Mazen preclude la possibilità di un accordo e rende futile la trattativa. Come titolano oggi i giornali su questo: “Anp: Inaccettabili le proposte di israele” (Il Messaggero) “La pace al tempo dei ricatti” (Antonio Picasso su Liberal: titolo particolarmente velenoso, perché squalifica come ricatto il “do ut des” che è la base di qualunque trattativa); ” ‘Stop colonie, ma Israele è degli ebrei’ offerta di Netanyahu, no dei palestinesi” (Repubblica); “Medio Oriente. Lite sulla moratoria Netanyahu-Anp” (Il Sole). Insomma dopo aver a lungo predicato che Israele dovrebbe rinunciare alle costruzione nelle “colonie”, nessuno spiega perché l’Autorità palestinese rifiuta le trattative anche dopo che una possibilità di sospensione è offerta.Perfettamente analogo il percorso sull’emendamento alla legge di cittadinanza che modifica il giuramento. I nuovi cittadini naturalizzati, invece di giurare fedeltà allo stato di Israele, dovranno farlo, se la legge passa, a Israele stato ebraico e democratico, il che naturalmente non significa affatto una conversione (tutti sappiamo dell’estrema diffidenza del rabbinato israeliano per le conversioni vere, figuriamoci se Israele vuole estorcere conversioni). A parte il fatto che in molti stati arabi la cittadinanza è concessa e con estrema avarizia, solo ai musulmani, che male c’è nello stabilire il carattere democratico e nazionale di uno stato. In maniera più o meno esplicita, nelle costituzioni se non nelle formule di cittadinanza, lo fa la maggioranza degli Stati. E invece i giornali, quasi tutti, pretendono che la scelta sia di carattere religioso e antidemocratico del giuramento, seguendo un analogo velenoso equivoco dal sinodo della Chiesa sul Medio Oriente. Così per esempio giornali ideologicamente anti-israeliani come Liberazione, Giorgio sul Manifesto, Monteforte sull’Unità, Il Fatto quotidiano ma anche Il Secolo d’Italia e Bianchi su Il Giorno, Carlino, Nazione).Nel frattempo proseguono le pratiche di boicottaggio e intimidazione per chiunque si dichiari ebreo o vicino a Israele: ne patla Buffa sull’Opinione a proposito delle Coop (una caso che si sta riaprendo), ma lo stesso vale per Saviano che alla manifestazione di Roma ha raccontatto della sua vicinanza all’ebraismo (Barba su Libero) e Raiz, leader del grupo musicale degli Almamegretta (Il Mattino), colpevole dello stesso reato. Oggi in rettorato a Teramo si decide sul caso Moffa, il docente che usa un suo master sul medio oriente per diffondere tesi negazioniste (La Discussione). E’ interessante che Moffa sia difeso da Rinascita, il quotidiano del “socialismo nazionale” (la cui posizione si capisce meglio invertendo i due termini con cui si definisce e leggendo nazionale socialismo).In questo quadro molto ostile, non si può non inserire anche il pezzo di Roger Cohen pubblicato dallo Herald Tribune. Cohen che scrive sul “New York Times” è uno dei più importanti giornalisti sostenitori dell’asse Obama-JStreet (la cui filiale europea è quel Jcall che si è appena opposto al convegno pro-Israele di Fiamma Nirenstein). Nel suo articolo spiega che ha fatto colazione con Ahamadinedjad quando il “presidente” iraniano è passato da New York per parlare all’Onu. Nel fortunato colloquio l’ha trovato antipatico ma innocuo e quindi dobbiamo smettere di preoccuparci dell’atomica iraniana. Ipse dixit, sulla base di un caffé lungo e un piatto di uova fritte al bacon, dobbiamo immaginare. Vale solo la pena di ricordare che l’anno scorso, quando scoppiò la protesta contro il taroccamento della rielezione di Ahamadinedjad e la terribile repressione che ne seguì, il buon Cohen aveva appena pubblicato una serie di articoli, sempre sul NYT, in cui lodava la ragionevolezza del regime iraniano e la sua crescente tolleranza. Ugo Volli,12 ottobre 2010,http://www.moked.it/
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