venerdì 1 ottobre 2010


Lieberman con il segretario di Stato Clinton

Netanyahu sconfessa Lieberman e insiste: pace in un anno

Allo studio formule tecniche per estendere la moratoria degli insediamenti senza dichiararlo ufficialmente
Roma, 29 set (Il Velino) - “Israele non ha una politica estera, solo un sistema politico interno”. Si può riassumere con la celebre frase di Henry Kissinger la paradossale situazione del governo israeliano, dove il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dovuto prendere le distanze dal discorso pronunciato alle Nazioni Unite dal ministro degli Esteri Avigdor Lieberman. Oggi Netanyahu ha incontrato l’inviato Usa nella regione, George Mitchell, e ha confermato la propria volontà di raggiungere un accordo pieno e duraturo con i palestinesi entro un anno, smentendo esplicitamente la versione di Lieberman (“Non rappresenta la visione del governo”, ha assicurato il primo ministro) secondo cui le trattative potrebbero durare decenni. Gli osservatori più accreditati sono convinti che il leader di Israel Beitenu abbia voluto assestare un tiro mancino al suo premier, che lo ha di fatto escluso dai negoziati e dai rapporti con i principali alleati, Stati Uniti in primis. Così, oltre ad allungare a dismisura la durata del negoziato di pace, Lieberman ha anche affermato che i palestinesi dovranno concedere agli israeliani la sovranità sui principali insediamenti della Cisgiordania, una prospettiva inaccettabile per il mondo arabo. “Ha piazzato una bomba sulla strada del primo ministro”, ha commentato Benjamin Ben-Eliezer, ministro del Commercio ed ex titolare della Difesa, che in quota laburista costituisce la sinistra dell’eterogeneo governo di Netanyahu. La stampa israeliana interpreta come debolezza il mancato richiamo di Lieberman da parte del primo ministro. “In ogni paese rispettabile il premier avrebbe licenziato subito il nostro infervorato ministro degli Esteri – commenta il quotidiano Maariv -, ma non c’è pericolo che ciò possa accadere qui”. Haaretz, invece, ricorda come Lieberman si sia rivolto soprattutto agli israeliani in patria, ben sapendo che non è dalla platea internazionale dell’Onu che otterrà consensi. Il suo elettorato pesca alla grande tra i coloni, che premono affinché la fine della moratoria sia implementata e si possa procedere con la costruzione di migliaia di nuove abitazioni. Proprio l’estensione della moratoria è al centro dello scontro diplomatico. Sabato il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas incontrerà i vertici di al Fatah e dell’Olp per stabilire la linea da portare al meeting della Lega araba di lunedì. Hanna Amireh, un membro dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, ha affermato che senza lo stop agli insediamenti Abbas sarà costretto ad abbandonare il negoziato. “C’è consenso sul fatto che tutto il mondo è favorevole alla creazione di uno stato palestinese ed è contrario agli insediamenti”, ha osservato Amireh. Secondo il quale di conseguenza “è bene porre il problema davanti alla comunità internazionale e vedere cosa si riesce a ottenere”. Per Abbas proseguire le trattative senza aver ottenuto nulla sugli insediamenti potrebbe implicare un’ulteriore perdita di credibilità, e offrirebbe il fianco alla propaganda di Hamas. Problemi simili deve affrontare Netanyahu, che estendendo d’imperio la moratoria verrebbe con ogni probabilità disarcionato dal governo dalla destra di Lieberman. Per questo, rivela la stampa dello Stato ebraico, sono allo studio alcune formule di compromesso. Un’ipotesi che circola insistentemente è che il ministero della Difesa (occupato dal laburista Ehud Barak, favorevole al negoziato) stabilisca clausole burocratiche particolari per le nuove costruzioni estendendo di fatto – seppur senza dichiararlo ufficialmente - la moratoria.

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