domenica 9 gennaio 2011
ECCO PERCHE' DIFENDO ISRAELE
Ero seduto nella sala conferenze di una università britannica. Annoiato dall’oratore, ho iniziato a guardarmi intorno nella sala. Ho notato una persona che mi sembrava abbastanza familiare, ricordo di una precedente vita accademica. Quando la sessione si è conclusa, mi sono presentato chiedendomi se dopo tanti anni, o meglio, dopo decenni, mi avrebbe ricordato.Mi ha detto invece che si ricordava di me e, a quel punto, ho commentato che gli anni erano stati buoni con lui. La sua risposta: “Tu invece sei cambiato molto”. “Come?”, ho chiesto con una certa trepidazione, sapendo che, auto-inganno a parte avere sessant’anni non è esattamente la stessa cosa che averne trenta.Guardandomi dritto negli occhi, ha proclamato, facendo in modo che altri lì vicino ascoltassero: “Ho letto le cose che scrivi su Israele. Io le detesto. Come puoi difendere quel Paese? Che cosa è successo al bravo ragazzo liberale che ho conosciuto trent’anni fa?”.Ho risposto: “Quel bravo ragazzo liberale non ha cambiato la sua visione. Israele è una causa liberale, e sono orgoglioso di sostenerla”.Sì, sono orgoglioso di sostenere Israele. Un recente viaggio, ancora una volta, mi ha ricordato il perché.A volte, sono le cose apparentemente piccole, le cose che molti nemmeno notano, o semplicemente danno per scontate, o forse ignorano deliberatamente, per non rovinare il loro pensiero ermetico.E’ una lezione di guida a Gerusalemme, lo studente al volante è una devota donna musulmana, e il docente un israeliano con lo zucchetto. A giudicare dalle notizie di stampa circa il conflitto senza fine tra le comunità, una simile scena dovrebbe essere impossibile. Eppure, era così normale che, a quanto pareva, nessun altro all’infuori di me le aveva dato un’occhiata sia pure di sfuggita.Va da sé che la stessa donna non avrebbe avuto il lusso di lezioni di guida, e tanto meno con un insegnante ebreo ortodosso, se fosse vissuta in Arabia Saudita.Si tratta di due uomini gay che camminano mano nella mano lungo la spiaggia di Tel Aviv. Nessuno li guarda, e nessuno mette in dubbio il loro diritto di mostrare il loro affetto.Provate a ripetere la stessa scena in alcuni Paesi limitrofi.E’ la folla del venerdì in una moschea di Giaffa. I musulmani sono liberi di entrare a loro piacimento, per pregare, per affermare la loro fede. La scena si ripete in tutta Israele. Nel frattempo, i cristiani in Egitto e in Iraq sono obiettivi di morte; i cristiani copti in Egitto vivono un’emarginazione quotidiana; l’Arabia Saudita vieta qualsiasi manifestazione pubblica del cristianesimo; gli ebrei sono stati cacciati da gran parte del Medio Oriente arabo.E’ la stazione centrale degli autobus a Tel Aviv. C’è una clinica gratuita istituita per le migliaia di africani che sono entrati in Israele, alcuni legalmente, altri illegalmente. Vengono da Sudan, Eritrea e altrove. Sono cristiani, musulmani e animisti. Chiaramente, sanno qualcosa che i detrattori di Israele, che protestano e l’accusano di un presunto “razzismo”, non sanno.Sanno che, se sono fortunati, possono rifarsi una nuova vita in Israele. Ecco perché essi evitano i Paesi arabi lungo la strada, temendo prigionia e persecuzioni. E mentre la piccola Israele si chiede quanti rifugiati è in grado di assorbire, i medici professionisti israeliani fanno volontariato e gli dedicano il loro tempo in clinica.E’ il “Salva il cuore di un bambino”, un altro istituto israeliano che non passa sui media internazionali più di tanto, anche se merita una nomination per il Premio Nobel della Pace. Qui, vengono i bambini che hanno bisogno di tecnologie avanzate per le cure cardiache, spesso passando “al di sotto del radar”.Arrivano dall’Iraq, dalla Cisgiordania, da Gaza e altri luoghi arabi. Ricevono un trattamento di classe mondiale. E’ gratuito, offerto da medici e infermieri che vogliono affermare il loro impegno per la coesistenza. Eppure, questi stessi individui sanno che, in molti casi, il loro lavoro non sarà riconosciuto.Le famiglie hanno paura di ammettere di aver cercato aiuto in Israele, anche se, grazie agli israeliani, ai loro figli è stata data una nuova prospettiva di vita.E’ la vitalità del dibattito israeliano esistente praticamente su tutto, incluso, a livello centrale, il conflitto in corso con i palestinesi.La storia racconta che il presidente statunitense Harry Truman incontrò il presidente israeliano Chaim Weizmann poco dopo la creazione di Israele nel 1948. Entrarono in una discussione su chi avesse il compito più duro. Truman disse: “Con tutto il rispetto, io sono il presidente di 140 milioni di persone”.Weizmann rispose: “È vero, ma io sono presidente di un milione di presidenti”.Che si tratti di partiti politici, della Knesset, di media, società civile, o per la strada, gli israeliani sono assertivi, auto-critici e riflessivi di una vasta gamma di punti di vista.Sono gli israeliani che stanno ora progettando la restaurazione della foresta del Monte Carmelo, dopo un terribile incendio che ha ucciso quarantaquattro persone e distrutto ottomila ettari di squisita natura.Gli israeliani hanno preso una terra arida e sterile e, nonostante le condizioni incredibilmente dure, hanno amorevolmente piantato un albero dopo l’altro, in modo che Israele può legittimamente sostenere che oggi è uno dei pochi paesi al mondo con più terreno boschivo di quanto non ve ne fosse un secolo fa.Sono gli israeliani che, con tranquillità e coraggio, sono determinati a difendere il loro piccolo frammento di terra contro ogni minaccia concepibile – il crescente arsenale di Hamas a Gaza; il pericoloso accumulo di missili da parte di Hezbollah in Libano; le aspirazioni nucleari di un Iran che chiede un mondo senza Israele; l’ospitalità che la Siria concede ai leader di Hamas e il trasferimento di armi a Hezbollah; e nemici che spudoratamente usano i civili come scudi umani.Oppure, la campagna mondiale per sfidare la legittimità stessa di Israele e il suo diritto alla legittima difesa, la bizzarra coalizione antisionista tra la sinistra radicale e gli estremisti islamici; l’automatica maggioranza numerica alle Nazioni Unite sempre pronta ad approvare, sul momento e senza preavviso, anche il più assurdo e inverosimile atto di accusa contro Israele; e quelle del potente gruppo di accusatori che non sono in grado di - o non vogliono - cogliere le immense sfide che deve affrontare Israele.Sì, sono quegli israeliani che, dopo aver seppellito ventuno giovani uccisi da terroristi in una discoteca di Tel Aviv, indossano l’uniforme delle forze armate israeliane per difendere il loro paese, e proclamano, col prossimo respiro, che “non riusciranno neppure a farci smettere di ballare”.Questo è il Paese che sono orgoglioso di difendere. No, io non dico che Israele sia perfetto. Esso ha i suoi difetti e le sue manie. Ha fatto la sua parte di errori. Ma così ha fatto anche ogni altro Paese democratico, liberale e volto alla ricerca della pace che io conosco, anche se pochi di essi hanno dovuto affrontare sfide esistenziali ogni giorno, fin dalla loro nascita.Il meglio è nemico del bene, si dice. Israele è un buon paese. E vedendolo da vicino, piuttosto che attraverso il filtro della Bbc o del Guardian, non smette mai di ricordarmi il perché. di David Harris Direttore esecutivo American Jewish Committee 05 Gennaio 2011 http://www.opinione.it/
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