mercoledì 12 gennaio 2011


Italia e Israele in comune problemi di identità irrisolti

Lo scorso 7 gennaio, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha aperto ufficialmente le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, con un viaggio nel Risorgimento italiano in terra di Emilia Romagna, con un “no a visione acritica e idilliaca del Risorgimento”.Vittorio Dan Segre, classe 1922, piemontese di Torino, diplomatico, giornalista, docente universitario da Haifa a Tel Aviv, a Oxford, a Stanford, ma anche a Torino e Milano, è stato tra i protagonisti della nascita dello Stato d’Israele, nel 1998 ha creato l’Istituto di Studi Mediterranei presso l’Università della Svizzera Italiana a Lugano, e oggi, all’Università di Tel Aviv, è responsabile di un corso sui rapporti fra Risorgimento italiano e Risorgimento ebraico, e resta, in Italia, una delle voci più carismatiche del sionismo dialogante e moderato.Professore, dunque siamo entrati nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Lei, da piemontese e italiano, come vive questo anniversario?Le date che terminano con degli zeri hanno sempre qualche cosa di speciale, di magico di cui il passare del tempo diminuisce l’impatto. A me ricorda quanto fallaci siano le previsioni soprattutto politiche. Nel 1911, nel cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia la stampa di Vienna sosteneva che una delle poche cose prevedibili fosse il fato che il nuovo stato italiano non sarebbe stato in grado di arrivare a festeggiare il suo primo centenario di esistenza. Oggi l’Austria Ungheria non c’è più mentre l’Italia, viva e vegeta, è paese membro e fondatore della Comunità europea.La sua italianità come ha influito, nel bene e nel male, nella sua partecipazione alla creazione dello Stato d’Israele?Ho lasciato l’Italia nel 1939 a causa delle leggi razziali e una delle ragioni che mi ha spinto ad andare in Palestina, al tempo mandato britannico, era il desiderio di partecipale nella creazione del nuovo -allora molto dubitabile- stato come gli uomini e le donne del Risorgimento avevano partecipato alla creazione dell’Italia. In questo momento insegno un corso universitario sponsorizzato dall’Ambasciata d’Italia a Tel Aviv, sui rapporti fra Risorgimento italiano e Risorgimento ebraico. Debbo dire che c’è molto interesse da parte di studenti che della storia d’Italia sanno poco.In questi 150 anni, quali le tracce e i contributi dell’ebraismo?I contributi degli ebrei italiani al Risorgimento sono stati enormi e sproporzionati al loro numero. Basta sfogliare le pagine del Dizionario del Risorgimento per rendersene conto. Per questo il tradimento monarchico di Vittorio Emanuele III dei suoi più fedeli cittadini è stato percepito dagli ebrei italiani più penoso e indecente di quello del fascismo. Mussolini, nonostante la sua passione per le donne ebree e le pubbliche dichiarazioni di “protettore degli ebrei” non ha mai abbandonato le sue posizioni anti semite di anarchico.I padri fondatori di Israle, come hanno interagito con l’Italia e quale opinione ne avevano?I padri fondatori del Sionismo, il risorgimento politico ebraico, salvo qualcuno come il leader dello sionismo revisionista Zeev Jabotinsky non sono stati influenzati dalle idee risorgimentali in maniera particolare. Anche perché quando il movimento sionista è nato con Theodor Herzl nel 1896, il Risorgimento italiano era terminato.E il mondo arabo?L’impatto del Risorgimento sul mondo arabo e non arabo è stato significativo soprattutto per l’opera di diffusione delle idee e la presenza fisica di molti patrioti italiani, perseguitati dalle polizie dei vecchi stati italiaci, in Tunisia, Egitto, Persia e persino India e Cina. Ma questo succedeva molto prima di Arafat che delle idee e soprattutto della morale politica mazziniana era totalmente ignorante.Il movimento nazionale palestinese -contrariamente al movimento nazionale arabo- non ha le sue radici in quello italiano ma paradossalmente in quello ebraico. I palestinesi sono dei “sionisti” arabi.Oggi Israele quando guarda all’Italia cosa si attende e come la giudica?Il diritto a giudicare un paese appartiene a chi ci vive dentro, non a chi ci vive fuori. Israele guarda oggi all’Italia coi sentimenti di affetto e gratitudine che gli ebrei provavano verso l’Italia dell’immediato dopo guerra che, nonostante la situazione di protettorato alleato in cui viveva -o forse proprio per questo- comprendeva e aiutava alla realizzazione del sogno nazionale ebraico molto più che i successivi governi. Oggi l’interesse reciproco è molto estero. Ciò che tuttavia più colpisce è la similitudine di problemi di identità irrisolti. Entrambi i paesi hanno capitali -Roma e Gerusalemme- di peso storico e emotivo molto più grande di quello dei reciproci stati; entrambi sono ancora incerti sul cammino politico e culturale futuro: europeo o mediterraneo; in entrambi lo stato è stato fatto prima di fare i propri cittadini -come diceva Massimo d’Azeglio per l’Italia- gli italiani. Cosa c’è da celebrare in questa Unità?La volontà -che esiste- di migliorare la società attuale per rispetto al passato e per fiducia nell’avvenire.Da almeno 2 anni si sta preparando questo grande evento, eppure gli italiani non sembrano così appassionati e informati su questa data. Bisogna, dopo 150 anni, rimboccarsi le maniche per fare gli italiani? o c’è anche altro?La voglia di spaccare gli stati unitari creati nel passato è diventata una moda più che una intenzione cosciente e ragionata. D’altra parte è inevitabile che quando le città di trasformano in metropoli con popolazione maggiore di quella di molti stati, le questioni di competenza delle autorità locali diventano più importanti e pressanti di quelle politiche e l’incapacità del governo centrale di risolverle è sempre più apparente. C’è dunque bisogno di un migliore equilibrio di autorità e di risorse fra il potere centrale e quello locale. Ma lo stato nelle sue nuove molteplici forme - federative, confederative, comunitarie - resta indispensabile. Il pericolo non è nel cambiamento ma nell’ignoranza. Il problema dell’identità di questo nostro Paese, Lei come lo decodifica, come lo porrebbe?E’ un problema reale tanto per l’Italia che per Israele e nasce dal fatto che lo stato e la nazione si identificano sempre di meno e lo stato sovrano, ‘inventato’ alla Pace di Westfalia, nel XVII secolo, è sempre meno sovrano. Il vero problema mi sembra essere quello della “re-codificazione” della sovranità e dei suoi usi interni ed esteri.Ragionando in termini ragionieristici: le risorse utilizzate per celebrare l’Unità di un Paese sono un investimento o una spesa corrente?La ragioneria va bene per i conti della spesa, non per quelli dello spirito, tanto individuale quanto collettivo. Non è questione di risorse materiali ma morali.In conclusione non posso fare a meno di chiederLe: perchè ha realizzato l’Istituto di Studi Mediterranei in Svizzera e non in Italia?Ho creato il mio istituto a Lugano, nella Svizzera italiana, perché di istituti di studi mediterranei in Italia e fuori d’Italia ve ne erano troppi. E nessuno mi sembrava ispirato al principio della neutralità che è anzitutto l’intelligenza politica della moderazione. Una qualità che nel Mediterraneo è ancora poco sviluppata oltre al fatto che in Svizzera ho goduto di un sostegno finanziario privato che non so se avrei trovato con la stessa facilità altrove. Gli svizzeri, del resto, hanno dimostrato che non occorre vivere sulla sponda del mare per vicere una gara marittima internazionale.Maria Margherita Peracchino, Costruendo l'Indro, 10 gennaio 2011

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