sabato 12 febbraio 2011


Strani intrecci per un sabotaggio

di Eugenio Roscini Vitali, 12 Febbraio 2011, http://www.altrenotizie.org/
Pur essendo il risultato di un’azione del tutto estranea alla rivolta che in queste settimane sta infiammando l’Egitto, il sabotaggio del gasdotto Arab Gas Pipeline, avvenuto lo scorso 5 febbraio nei pressi di El Lahafan, 15 chilometri a sud di El Arish, città portuale del Sinai settentrionale, non sembra essere un caso isolato e sarebbe inquadrato in una strategia volta a destabilizzare una delle aree più insicure del vicino Medio Oriente.Secondo quanto riportato dalla televisione di Stato egiziana, il sabotaggio, che ha causato il ferimento di due persone e la temporanea sospensione del flusso di gas verso la Giordania e Israele, sarebbe infatti stato portato a termine da “elementi stranieri” che avrebbero agito a soli 45 chilometri da Rafah, in un settore non lontano dal locale aeroporto internazionale, base in gestione alla Egypt Air Express e sede della smobilitata Palestinian Airlines dal 2001, quando i bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza danneggiarono irrimediabilmente la pista dello scalo internazionale Yasser Arafat.Fonti della compagnia israelo-egiziana East Mediterranean Gas hanno reso noto che l’incendio, visibile in tutta la regione di Sheikh Zuwayid, ha coinvolto una stazione di misurazione che gestisce il flusso di gas verso Israele. Grazie al tempestivo intervento dei tecnici, i danni sarebbero stati comunque contenuti: le cariche, sistemate sotto le tubazione, sarebbero state a basso potenziale e il tempestivo intervento del personale in servizio e dei vigili del fuoco ha permesso di isolare l’area e domare le fiamme nell’arco di qualche ora.Secondo la radio militare israeliana gli effetti del sabotaggio, che ha comunque interessato la parte della struttura diretta ad Ashkelon, sono stati contenuti; nonostante Israele riceva dall’Egitto più del 25 per cento del proprio fabbisogno nazionale, l’interruzione del flusso impiegato in alcune centrali elettriche non avrebbe avuto contraccolpi nella produzione di energia. Il ministro israeliano per le Infrastrutture, Uzi Landau, ha comunque disposto l’innalzamento del livello di sicurezza per le installazioni industriali più sensibili. L’Arab Gas Pipeline è un gasdotto di 1.200 chilometri che dall’Egitto arriva in Giordania, Siria e in Libano; una ulteriore implementazione dovrebbe estendere la pipeline fino a Kilis, nella Turchia meridionale, per poi collegarsi al Nabucco e seguire la via europea.Realizzato da un consorzio che comprende le compagnie egiziane EGAS, ENPPI e GASCO, l’americana PETROGET e la siriana SPC, l’Arab Gas Pipeline è strutturato in tre segmenti. Il primo tratto, concluso nel 2003, va da El Arish ad Aqaba, in Giordania; ha una portata di 10 miliardi di metri cubi di gas naturale e comprende una sezione da 1,7 miliardi di metri cubi che si ramifica fino ad Ashkelon, in Israele. La seconda sezione, di 390 chilometri, passa per Amman e attraversa la Giordania fino a El Rehab, 24 chilometri a sud del confine siriano. Il terzo tratto, completato nel febbraio 2008 con la collaborazione tecnica della Stroytransgaz, società controllata dalla russa Gazprom, prosegue in territorio siriano fino alla centrale elettrica di Deir Ali, 40 chilometri a sud di Damasco; da qui la pipeline si estende fino alla stazione di pompaggio di Al Rayan, nei pressi di Homs, area di estrazione al confine con il Libano settentrionale, e alla città libanese di Tripoli, sulle rive del Mediterraneo orientale.Hamas si dice del tutto estranea all'esplosione ed esclude che l’operazione sia partita dai Territori: ad affermarlo è stato Hassan Abu Hashish, capo dell'Ufficio stampa del Movimento di resistenza nella Striscia di Gaza. Lo stesso afferma Sallah Al Bardawil, dirigente politico di Hamas, che ha smentito categoricamente le informazioni pubblicate dalla stampa egiziana e, in particolare, dal quotidiano Al Akhbar , che nei giorni scorsi ha parlato del coinvolgimento di palestinesi nei disordini divampati in Egitto. Al Bardawil ha inoltre ribadito che Hamas non intende interferire negli affari interni di altri Paesi e che l’ipotesi avanzate dal Cairo sono accuse fabbricate ad arte per cercare di esportare la crisi egiziana a Gaza. I dirigenti del Movimento di liberazione palestinese puntano piuttosto il dito contro le difficili relazioni che intercorrono tra il governo Mubarak e le tribù nomadi che abitano la regione; beduini che si dicono maltrattati e discriminati e che da qualche anno hanno deciso di reagire anche con l’uso delle armi. Nel giugno scorso alcuni nomadi ricercati dalla forze di sicurezza egiziana avevano addirittura minacciato di sabotare il gasdotto e questo aveva portato le autorità a rafforzare le misure di sicurezza in tutta la regione, contrastando la minaccia con operazioni che si erano spinte fino all’impervia valle del Wadi Omar, roccaforte dei clan che controllano gran parte della penisola e che si suppone siano implicati nella traffico di essere umani.E che nel Sinai si giochino anche altre partite lo dimostrano le interviste rilasciate al Telegraph e al The National di Abu Dhabi da Abu Khaled, beduino palestinese appartenente alla tribù Rashaida che, senza alcun pudore, ha illustrato ai giornalisti le sue malefatte e i suoi rapporti con Abu Ahmed, gestore della fase finale del traffico di armi e di profughi verso Rafah.
Il governatore del Sinai settentrionale, Abdel Wahab Mabrouk, è invece convinto che il sabotaggio di El Lahafan sia di matrice terroristica e che in questa occasione i clan legati alle grandi tribù nomati abbiano operato in appoggio a strutture paramilitari provenienti dall’estero. Per il Cairo l’attentato al gasdotto è in stretta relazione con la fuga dalle carceri di numerosi estremisti legati al terrorismo islamico e con gli scontri a fuoco registrati alla fine di gennaio la regione di Sheikh Zuwayid tra le Forze speciali del ministero degli Interni egiziano (CFF) e i miliziani delle Brigate Ezzedin al Qassam, ala militare di Hamas guidata da Mohammed Deifnel. In quei giorni il sito israeliano d’intelligence Debka ha registrato una serie di combattimenti ad est di El Arish e un raid contro il locale carcere dal quale sarebbero riusciti a fuggire alcuni detenuti.Anche il Comando del Multinational Force and Observers (MFO) che opera a El Gorah sembra convinto che quelle cui stiamo assistendo non siano semplici scaramucce e per questo ha dichiarato lo stato di massima allerta e disposto un piano per l’evacuazione immediata dei membri della missione presenti nel campo militare situato a soli 7 chilometri da Rafah. L’escalation dei combattimenti è poi confermata da molte testate internazionali, tra cui il New York Times, che addirittura ipotizza un’operazione volta ad estendere la rivolta egiziana a tutto il Sinai e, in relazione agli ultimi giorni di gennaio, parla di scontri alla periferia del settore egiziano di Rafah, di due ore di combattimenti che avrebbero visto di fronte l’esercito egiziano e alcuni membri del gruppo Takfir wal-Hijra e del lancio di razzi e granate.Per ora non ci sono conferme riguardo al coinvolgimento di Hamas nell’attacco alle carceri egiziane; al momento è però certo che nonostante la regione nord-orientale del Sinai sia da settimane teatro di scontri a fuoco e il valico di Rafah sia stato chiuso a tempo indeterminato - decisione presa il 31 gennaio scorso dalle autorità egiziane in seguito all’abbandono del posto di polizia da parte delle guardie di confine - un numero non precisato di palestinesi evasi delle prigioni egiziane è comunque riuscito (o attende il momento opportuno per farlo) a rientrare nella Striscia di Gaza. Il primo a parlarne è stato il sito islamico Muslm.net dove Imad Al Sayyid, portavoce dei prigionieri palestinesi in Egitto, che il 29 gennaio ha annunciato la fuga in massa dalle carceri egiziane e l’imminente rientro a Gaza di molti detenuti.Il comunicato è stato confermata dall’agenzia di stampa Ma’an che ha anche dato notizia del ritorno al campo di Al Bureij di Ayman Nofal, membro di spicco delle Brigate Al Qassam fuggito dalla prigione di Al Marj. Citati anche i nomi di Omar Sha’th, Muhammad Abdul Hadi, Kom’a At-Talha e Mu’tasem Al Quka, scappati dal carcere di Abu Zaabal, distretto di Al Qalyoubiya a nord del Cairo. Tra quelli già rientrati a Rafah ci sarebbero Muhammad Ramadan Ash-Shaer (coordinatore dei traffici che attraverso i tunnel scavati sotto Philadelphi Route alimentano l’arsenale di Gaza) e Hassan Washah, miliziano del gruppo salafita Jaysh Al Islam (Esercito dell’Islam), evaso insieme a Muhammad Al Sayyid, fratello di Imad, dal penitenziario di Abu Zaabal.Secondo gli egiziani alcuni elementi di Hamas potrebbero anche aver fatto parte della cellula libanese che i 30 gennaio scorso ha assaltato il carcere egiziano di Wadi El Natrun: il commando, composto presumibilmente da 25 uomini, ha permesso la fuga di migliaia di detenuti, tra cui 22 membri di Hezbollah; tra loro ci sarebbe Sami Shehab, figura di spicco del movimento sciita libanese, arrestato nell’ottobre 2008 al Cairo con l’accusa di terrorismo. Shehab, la cui fuga è stata confermata anche dal giornale arabo Asharq Al-Awsat, era stato inviato in Egitto dallo stesso leader sciita, Hassan Nasrallah, per vendicare l’assassinio di Imad Mughniyeh, comandante operativo di Hezbollah ucciso il 12 febbraio 2008 a Damasco dagli agenti del Mossad.

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