giovedì 10 marzo 2011


Internet, Che Guevara del XXI secolo

Cari amici, posto la “Lettera da Gerusalemme” che ho scritto per il prossimo numero di Prima Comunicazione:
Gerusalemme. Si chiamano Facebook, Twitter, YouTube, i Che Guevara del XXI secolo, i nuovi Lenin che catalizzano il malcontento del nostri giorni, I Mao Tze Tung che fanno compiere in un battibaleno una lunga marcia ai popoli del mondo arabo. Internet, con i suoi “social network”, ha supplito alla palese mancanza di leader nelle piazze di Tunisi e Cairo. I video amatoriali realizzati con i telefonini hanno sconfitto la sofisticata macchina della censura di stato e messo in luce la repressione in Libia e Iran. Le nuove tecnologie, insomma, hanno dato forma alla protesta nel mondo islamico, trasformandola spesso in moto rivoluzionario, in valanga capace di seppellire bugie dal naso lunghissimo e con esse i regimi le avevano irradiate. “Da decenni, i leader arabi hanno eretto la corruzione a sistema e scaricato le responsabilita’ di tutti i mali su Israele”, dice a Prima Comunicazione Itamar Marcus, direttore del Palestinian Media Watch, nel suo ufficio di Gerusalemme, da dove monitora i media arabi . “A cambiare le carte in tavola e’ stato l’avvento di internet. All’improvviso, popoli tenuti all’oscuro di tutto, si sono aperti al mondo, hanno avuto conferma della corruzione dei propri leader e si sono ribellati”. Sufian Belhaj è un tunisino di 28 anni, laurea in Scienze Politiche a Bruxelles, disoccupato. Avendo tempo a disposizione, ha cominciato a frequentare con assiduità Facebook e Twitter. Quando a novembre Wikileaks ha pubblicato i documenti del Dipartimento di Stato americano che denunciavano la quasi mafia del regime di Ben Ali e la cupidigia senza limiti della first lady, Leila Trabelsi, Belhaj ha fatto la cosa più semplice: li ha tradotti in arabo e pubblicati su Facebook con lo pseudonimo di Hamadi Kalaucha. Una settimana dopo, 170 mila utenti avevano cliccato “I like” sulla pagina. Le autorità tunisine ci hanno messo un mese a cancellare il gruppo Nel frattempo però i documenti compromettenti erano stati condivisi da centinaia di blogger. A nulla è valso l’arresto di Belhaj.Dopo pochi giorni, Bel Ali è stato costretto all’esilio. Anche in Egitto un internauta è divenuto eroe della rivoluzione. Si tratta di Wael Ghonim, il responsabile marketing per il Medio Oriente di Google. Sotto le mentite spoglie di El Shaeed (Il martire) ha creato un gruppo in Facebook chiamato: “Siamo tutti Ali Khaled”. Il riferimento è al nome di un blogger ucciso a bastonate la scorsa estate dalla polizia egiziana. Ghonim ha lanciato su internet una campagna contro le torture. All’apice della protesta, 300 mila persone erano iscritte alla sua pagina. Anche Ghonim ha conosciuto la galera, dieci giorni. Ne e’ uscito quando ancora Mubarak era in sella, sull’onda della pressione popolare di piazza Tahrir, che lo ha innalzato a simbolo. Lui oggi rifiuta il titolo di leader della protesta democratica. “Ho solo scritto dei post – minimizza -. Alla fin fine, è la forza del popolo ad aver fatto vioncere la rivoluzione”. Sarà ma senza la rete ben difficilmente l’onda di protesta si sarebbe propagata così in fretta. Tunisia ed Egitto hanno un indice di penetrazione d’internet del 20 per cento, ancora basso rispetto alla media occidentale ma rilevante. Oltre, e ancor più di Facebook, a far la differenza è stato il cellulare. Le immagini della repressione in Libia e a Bahrain, immortalate dai telefonini, hanno fatto il giro del mondo via Msm e YouTube, facendo sprofondare nel ridicolo i media ufficiali che hanno continuato a ignorare i moti di piazza. Il ruolo dei nuovi media è stato anche quello di far scoprire alla gente che i propri problemi erano condivisi. “In passato, ognuno era portato a pensare che la sua frustrazione fosse un fatto individuale. – dice Itamar Marcus -. Ora, grazie ai social network, è possibile condividere le proprie pene con centinaia, migliaia di persone, scoprendo che non si è soli. Questo da fiducia. Tunisia ed Egitto sono stati l’inizio. Il processo va avanti”. Uno che se ne intende come Alec Ross, assistente per l’innovazione del segretario di Stato Usa Hillary Clinton, sintetizza: “Non c’e’ più bisogno di una sola figura rivoluzionaria per ispirare e organizzare le masse. Nell’era digitale, la leadership rivoluzionaria può essere distribuita, come è chiaramente accaduto in Tunisia ed Egitto”. Claudio Pagliara, 7 marzo

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