giovedì 7 aprile 2011


Gerusalemme

Voci a confronto

Nella settimana trascorsa l’articolo del giudice Goldstone, riportato anche sul Portale dell’ebraismo italiano www.moked.it, è rimasto purtroppo ignoto alla maggior parte dei lettori italiani; alcuni giornali, come giustamente scriveva ieri in questa rubrica Ugo Volli, ne hanno parlato, altri, come Repubblica (in abbondante compagnia) hanno preferito astenersi dal parlarne per non andare contro la loro evidente posizione politica, a tutti ben nota. E il silenzio, vergognoso nei confronti dei lettori, è mantenuto anche oggi. Ma non si deve credere che all’estero le cose vadano in modo diverso: il New York Times ha rifiutato addirittura di pubblicare un articolo simile che gli era stato offerto dal giudice in prima battuta, scegliendo in seguito di non motivare il rifiuto (come ha scritto l’altro giorno l’israeliano Yedioth ahronoth). Va inoltre osservato che anche un quotidiano che ne ha parlato con prontezza (La Stampa di lunedì) ha voluto riportare nel sottotitolo la notizia falsa, fatta circolare subito dopo la guerra, secondo la quale ci sarebbero stati 1400 morti. Molinari, nel suo articolo preciso e puntuale di ieri, ha scritto che è l’ONU che continua a indicare tale cifra, ma i lettori di questa rassegna devono sapere che è stato definitivamente accertato che il numero dei morti è intorno ai 700 (e la maggior parte di questi morti, per ammissione della stessa Hamas, erano combattenti, e non civili disarmati e innocenti); è grave che un organismo internazionale continui a nascondere la verità nonostante le inchieste concluse. Attorno a questa falsificazione sta un identico ragionamento fatto da testate come Repubblica e il New York Times. In proposito giova qui ricordare come fu proprio la nota testata americana ad aver pubblicato la famosa fotografia del “giovane palestinese” picchiato dal poliziotto israeliano immortalato insieme a lui; il giorno successivo il padre di quel ragazzo faceva sapere al mondo intero che suo figlio era, al contrario, un giovane ebreo attaccato da palestinesi e salvato da quel poliziotto israeliano. Alcune testate, dunque, riprendono anche oggi il tema della smentita delle proprie conclusioni fatta da Goldstone. Fiamma Nirenstein, sul Giornale, pubblica un articolo sotto forma di lettera al giudice ebreo: ci ha messo troppo tempo per rendersi conto degli errori contenuti nelle 575 pagine del rapporto; dopo aver provocato le accuse mosse contro Israele da USA ed EU, tutti ingannati dal rapporto, il giudice dovrebbe ora scrivere un nuovo rapporto che accusi a dovere Hamas. Fiamma rende note, inoltre, alcune cifre dei caduti di quella guerra, nella quale tra il 63 per cento e il 75 per cento erano o armati o scudi umani. La conclusione della lettera-articolo è lapidaria: ora Goldstone si dia da fare e non si vergogni come avrebbe dovuto fare fino all’altro giorno. Interessante è pure la lettura di Francesco Battistini sul Corriere: il corrispondente da Gerusalemme cita infatti una lunga serie di fandonie raccontate negli anni da Arafat prima, e da Abu Mazen poi, e non dimentica di spiegare, tra le righe, come sono stati fabbricati dai palestinesi tanti dei pretesi morti della guerra Piombo fuso. Ma come per i 56 morti di Jenin, inizialmente fatti passare per 500 (ma alcuni dissero anche 2000 ndr), anche per i morti della guerra di Gaza finalmente le verità cominciano a venire a galla: le regole democratiche di Israele, soffocate dalle “false verità” del Comitato dell’ONU per i diritti umani guidato da Gheddafi, iniziano ad avere la meglio. Ben diverso è, al contrario, il contenuto di un editoriale del Financial Times; per il quotidiano londinese il giudice non intende ricusare il suo rapporto e non nega che Israele non avrebbe fatto abbastanza per proteggere i civili; sola novità sarebbe che Hamas finge di neppure accorgersi delle accuse che le sono state mosse, mentre l’accusa di aver fatto ricorso a un uso sproporzionato di forze, dentro e fuori dei propri confini, resterebbe in piedi nei confronti dello Stato ebraico. Daniel Schwammenthal sul Wall Street Journal ricorda quanto è successo all’ONU dopo la guerra del 2009: all’Assemblea Generale il 5 novembre 2009 molti stati europei votarono in favore del rapporto, altri, come la Francia e l’Inghilterra si astennero, e solo pochi votarono contro (Italia, Germania, Olanda, Ungheria, Rep. Ceca, Polonia e Slovacchia, con gli USA). Per inciso osserva l’articolista che oggi alcuni di quegli stati devono fronteggiare le stesse difficoltà incontrate da Israele. A questo punto, ricorda Schwammenthal, in una nuova votazione del 26 febbraio 2010 molti stati cambiarono la loro posizione allontanandosi dalle posizioni di Israele, e in futuro, qualora si dovesse rivotare, la maggioranza automatica dell’Assemblea non permetterebbe di cambiare sostanzialmente le cose. Andrea Morigi su Libero analizza il riavvicinamento in atto tra Egitto ed Iran che, è bene ricordarlo, ruppero nel 79, dopo la pace firmata da Sadat e Begin, i loro rapporti (anche se incontri ad alto livello continuarono a tenersi saltuariamente). Tale riavvicinamento avviene sull’allineamento sulle posizioni fondamentaliste, mentre vi è già chi richiede, anche al Cairo, la formazione di una Polizia della virtù. Analogo l’articolo firmato su La Stampa da Claudio Gallo, che vede come uno dei pochi nodi da sciogliere per il totale riavvicinamento tra i due stati quello posto dall’aver intitolato a Islambouli, l’ufficiale che uccise Sadat, la via di fronte alla sede che ospitò l’ambasciata del Cairo a Teheran. Su Repubblica Alix Van Buren intervista Suhair al-Atassi, libera dopo aver fatto lo sciopero della fame per 15 giorni nelle carceri siriane; quando Assad aprì ai giovani e a Internet, è partita quella rivoluzione che poi spinse il rais a chiudere di nuovo tutte le porte; ma quando comincia a scorrere il sangue è troppo tardi per tornare indietro. Bret Stephens pubblica sul Wall Street Journal un interessante articolo sulle scoperte di importanti giacimenti di petrolio in Israele (dopo quelli già ben noti di gas); a solo 30 miglia a sud ovest di Gerusalemme ci sarebbe una riserva di 250 miliardi di barili (quasi come le riserve saudite), per di più di ottima qualità. Il Medio Oriente è davvero una terra che non finisce di stupire: chi poteva pensare che proprio in Irak dovesse nascere la prima democrazia del mondo arabo? Nello stesso modo, chi poteva predire che Israele sarebbe diventato il nuovo gigante della produzione di petrolio? Molto spazio è dedicato da numerosi quotidiani (Michele Serra su Repubblica, A. Pic. su Avvenire) al nuovo disegno di legge presentato da alcuni parlamentari dei partiti della destra italiana; Schifani e Fini, come il mondo ebraico, cercano di opporsi a qualsiasi modifica di quanto sta già scritto nella Costituzione (divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista), e ribadito con la legge Scelba del 52 che dichiara reato la stessa apologia del fascismo; che questa legge sia nei fatti non applicata è dimostrato da quanto avviene normalmente nei nostri stadi, ma ora i proponenti del ddl chiedono che non si intervenga più contro i reati di opinione. Ma poi, mi permetto di osservare, tutte le strade più pericolose saranno nuovamente aperte. A chi desidera leggere un breve commento su questo tema suggerisco le parole di Massimo Gramellini su La Stampa: come sempre la sua penna è concisa e chiara come più non si può. Il fascismo ha lasciato sulla pelle degli italiani una traccia indelebile, nello stesso modo in cui il comunismo l’ha lasciata sulla pelle di lituani ed ungheresi. Emanuel Segre Amar 6 aprile 2011 http://moked.it/

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