mercoledì 20 aprile 2011



Giovanni Quer


Piccolo raduno degli odiatori di Israele a Tel Aviv. Ci sono andato anch'io, ecco com'è andata
Sabato sera a Giaffa si è tenuta una commemorazione per Vittorio Arrigoni, sotto la torre dell’orologio che Napoleone aveva voluto all’entrata nord della città. Gli organizzatori sono conosciuti come anarchistim neged hagader, anarchici contro la barriera, che appartengono a diverse organizzazioni e ONG e si ritrovano ogni venerdì a manifestare contro l’occupazione in diversi luoghi di tensione, tra cui Shekh el-Jarakh e Hebron. Gli anarchistim neged hagader sono israeliani che manifestano in supporto ai palestinesi e anche se non si condividono le loro idee politiche sono il frutto di una cultura, quella israeliana, che premia la libertà e l’espressione di tutte le posizioni politiche, di tutte le tendenze culturali, di tutte le idee. Il loro impegno politico e culturale è accompagnato da un grande senso civile, che si esprime in diversi settori, tra cui l’acquisto solidale di prodotti palestinesi, come la birra Taybeh, e le espressioni linguistiche che preferiscono la declinazione femminile al maschile. La mail che chiamava tutti a commemorare la tragedia di Vittorio Arrigoni è circolata per tutti gli ambienti pacifisti e in molti sono arrivati alle otto sotto l’orologio di Giaffa, in particolare italiani, spagnoli e francesi. Sul muretto che porta verso la torre brillavano quattro piccole candele, davanti alla foto di Vittorio Arrigoni, mentre alcune persone brandivano delle torce. Gli organizzatori a un certo punto hanno formato un cerchio, rispettando dei minuti di silenzio. L’atmosfera era triste, gli israeliani ammirano il coraggio di qualcuno che mette a rischio la propria vita tentando di contribuire alla risoluzione dei problemi in questa terra; gli internazionali che l’avevano conosciuto erano visibilmente commossi; i passanti commentavano il caso come un’altra tragedia ma anche con un sospiro di sollievo, perché Israele non è responsabile. Quest’atmosfera di “sacra tristezza” si è presto rotta al suono del megafono, brandito da qualche internazionale, che ha urlato a Israele tutto l’odio e tutto il rancore per lo Stato ebraico e per gli ebrei. Dopo la lettura di testi scontati e politicamente insipidi, ci si è spostati verso un bar: tutti seduti attorno ad un banchetto a celebrare una festa antisemita. Una ragazza israeliana anarchica introduce la commemorazione dicendo per sommi capi quanto accaduto. È ora il turno di una ragazza italiana che legge un testo che dipinge Vittorio Arrigoni come devoto alla causa palestinese e alla causa della libertà. Questo amore per la libertà lo ha portato alla morte. Qui incominciano i problemi: l’amore per la libertà lo ha portato alla morte da chi la libertà non la vuole, non la conosce, la combatte. Ma tanto non è stato detto, quanto piuttosto il motivo per cui Vittorio Arrigoni era a Gaza, ossia per combattere l’inumano nemico israeliano. La morte di Arrigoni è stata associata direttamente alla violenza israeliana, quasi fosse morto per mano di un soldato delle forze di difesa israeliane. La lettura termina con una petizione: “non confondiamo i cittadini con i fanatici, le milizie con gli individui di fede islamica!” La petizione ha dell’oltraggioso! Non fare di tutti i palestinesi dei terroristi è certo fondamentale, non fare di tutti gli islamici dei fanatici è naturale, ma considerare tutti gli israeliani dei militari assassini o degli antipatici violenti coloni è invece accettato, automatico, ovvio, scontato e logico. Dopo la commemorazione ci muoviamo verso un bar di Giaffa, dall’arredo simpatico ma dal cibo non proprio gustoso. Incomincio a parlare con uno degli anarchici israeliani e ne esce che abbiamo un’amica italiana in comune, parliamo di varie cose, anche di politica. Con gli italiani capisco che è più difficile parlare. Cerco di conversare, ma mi chiedono subito se sono israeliano, cosa faccio qui e perché parlo la “loro lingua”. Il mio aspetto semitrasandato mi fa apparire di sinistra ma evidentemente non abbastanza. Non si deve parlare ebraico e non si deve fare amicizia col nemico. I camerieri fanno di tutto per sistemare i tavoli, prendono le ordinazioni e sono curiosi di sapere di questo strano gruppo con tanti italiani, qualche israeliano e qualche spagnolo. Allora gli attivisti si fanno diffidenti; credo sia per la tristezza, in fondo non è semplice dire che il ritrovo è una commemorazione di un amico assassinato da fondamentalisti islamici. La vera ragione si capisce invece dai commenti: “ma che vuole questo?” “ci stanno controllando” “non dir niente che va a chiamar la polizia” “strano che non ci abbiano ancora messo dentro”. Le cose degenerano quando arrivano i piatti. Qualcuno si lamenta della poca carne contenuta nei piatti—il che di per sé è strano visto che chiunque sia stato in Israele solitamente commenta delle porzioni pantagrueliche che servono in qualsiasi luogo di ristoro—e le battute cadono goccia goccia sul gruppo che si faceva più allegro. Un uomo di mezza età che fumava in continuazione commentava “certo che son proprio avari” a cui una ragazza, presente con il figlio, risponde “eh, da queste parti son così, la storia non si sbaglia mai”. Credevo d’aver sentito male, invece la conversazione ha fugato ogni dubbio. C’è chi ordina del vino e non lo vuole più bere perché è stato prodotto con uve del Golan. C’è un bambino del gruppo che gioca con delle pistole ad acqua bagnando tutti, comprese tre donne sedute al tavolo a fianco che chiedono se i genitori possono farlo smettere. Anche questa normale richiesta è fonte di duro commento sull’intera società israeliana: sono violenti, strano che non lo abbiano picchiato, guarda con che occhi lo guardano. Una ragazza tedesca all’altra parte del tavolo si guarda in giro sorpresa. “Volevo vedere com’era Israele”, dopo anni che vive nei Territori, “ma mi dava fastidio l’idea di passare dalla parte dell’oppressore”. Mi chiede perché ho imparato l’ebraico, la lingua dell’oppressore, e tutto ciò che mi viene in mente è che lei parla tedesco, una lingua in cui sono stati progettati ordinati e messi in atto altri tipi di progetti! Per gli israeliani, anche se le cose sono cambiate, è sempre stato il tedesco la lingua che ricorda l’oppressione.
Guardo e ascolto queste gioiose ragazze e questi simpatici ragazzi impegnati a comperare solo prodotti palestinesi, a fare gli indecisi se sedersi o meno ad un tavolo in Israele, a parlare di Ramallah come di un posto molto più bello che Tel Aviv, a inveire contro chiunque fosse seduto al bar perché “come fanno a vivere così con tutto quello che fanno ai palestinesi?” Le analisi politiche sono interessanti: chi avanza ipotesi di coinvolgimento israeliano perché Vittorio era un personaggio “scomodo”, chi sostiene che la sua morte sarà un pretesto per bombardare di nuovo Gaza. Non si capisce ora come Vittorio Arrigoni potesse ostacolare i progetti israeliani né si capisce come la sua morte potrebb’esser collegata a una decisione di intervento armato a Gaza.
Alcune pacifiste sono legate da relazioni amorose con gli anarchici israeliani, altri preferiscono non parlare nemmeno con gli israeliani, sognando di tornare in Palestina. La mia presenza non è benaccetta: non sono un anarchico e parlo ebraico. Sto con gli oppressori. La rabbia e l’odio si spargono verso tutti, mentre ascolto con un orecchio gli italiani e parlo di tutto e di più con gli israeliani. L’Unione Europea ha accettato di avere una sede in Israele, un atto da collaborazionisiti, benché i soldi siano cari alle ONG. Gli israeliani stanno fra loro, in pochi parlano al nemico: anche questi israeliani postsionisti di estrema sinistra sono il nemico. Perché? Perché sono israeliani. Cerco di parlare con qualcuno, nessuno parla arabo, mentre l’ebraico è una lingua che nessuno vuole imparare. Mi chiedo allora tutta questa fascinazione per il mondo arabo non li porta a voler comunicare con la gente comune? Infine arriva il momento del conto. Con venti persone e più c’è sempre qualche problema. Chi si dimentica qualcosa, chi invece vorrebbe far finta di essersi dimenticato. Il cameriere chiede di sistemare i conti. Lo stesso cameriere che si era interessato al gruppo, che è stato in Italia dopo il servizio militare. “Proprio in Italia doveva veni’ sporco de sangue?” Sempre col sorriso chiede di nuovo di sistemare i conti perché altrimenti la differenza deve metterla di tasca propria. Il cliché antisemita riemerge, l’attaccamento ai soldi di “questi qui” è incredibile. Continuano a sentirsi commenti che ridicolizzano la celebrazione del sabato, ridicolizzano la celebrazione della Pasqua. Si descrivono Ramallah e Betlemme come delle isole di pace e meraviglia. Come si può amare la Palestina e dirsi attivisti per i diritti dei palestinesi quando non si vuole riconoscere gran parte dei problemi e delle sofferenze dei palestinesi cristiani, delle donne palestinesi, delle donne e degli uomini palestinesi omosessuali? Non voglio certo ripetere ciò che tutti si chiedono, ossia perché l’assassinio di Vittorio Arrigoni è un’altra occasione di spostare la colpa su Israele quando Israele nulla ha a che fare con tutto questo. Solo mi chiedo una domanda, tutto l’impegno politico, la passione per la libertà e la giustizia, come possono andare d’accordo con un odio viscerale contro Israele? Si chiede di non confondere tra individui e fondamentalisti, perché allora confondere tra individui e soldati? Perché nessuno si chiede come mai le donne palestinesi siano così poche alle manifestazioni degli anarchici? Perché si guarda con fascino il velo mentre il cappello di una donna ebrea religiosa è considerato un simbolo di oppressione? Come si può dire di esser contro il razzismo quando l’antisemitismo pervade l’animo e la mente di molti pacifisti? Come si può dire di esser per la convivenza quando si odiano gli israeliani? Chiedere di distinguere i cittadini dai fanatici è legittimo per quanto attiene i palestinesi, ma applicare distinzioni in Israele è improprio. Si sapeva che i pacifisti non sono poi così pacifisti. Che sono animati da un grande odio. Che sono affascinati dalla violenza. Eppure vedere e ascoltare dal vivo è un’esperienza che colpisce e sconvolge. I sorrisi degli attivisti che temono di infettarsi al contatto con gli ebrei sono una delle cose più violente e spaventose. Gli occhi che odiano gli israeliani con cui spesso intrecciano relazioni amorose sono tra i più truci sguardi dell’umanità. Che differenza c’è tra un aguzzino e uno che fomenta gli aguzzini? Nessuna. Che differenza c’è tra un aguzzino e uno che lo celebra? Nessuna. Che differenza c’è tra chi odia gli ebrei, entra nelle loro case e sgozza donne uomini e bambini, e chi odia gli ebrei, non vuole sedersi ai loro tavoli, dimentica di condannare chi li trucida, e loda chi li assassina? Nessuna. Qualche anno fa un arabo aveva ucciso un attivista italiano a Gerusalemme est perché pensava fosse ebreo, e il commento in Italia è stato “capiamo il gesto”. Oggi una cellula fondamentalista trucida un attivista italiano, e il commento in Italia è “non vogliamo che la salma passi per Israele”, nemmeno tutto il dolore del mondo, che forse solo gli israeliani possono capire e condividere, è apparentemente più forte dell’odio per gli ebrei, dell’odio per Israele.di Giovanni Quer 18/04/2011 http://www.informazionecorretta.com/

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