sabato 2 aprile 2011


La città a emissione zero nasce in Palestina

Tra Gerusalemme e Nablus, 9 chilometri a nord di Ramalah, in un territorio abituato a fare notizia per i conflitti, sta nascendo la prima città sostenibile palestinese. I lavori per la costruzione di Rawabi sono iniziati nel gennaio del 2010 e si prevede verranno completati nel giro di 5 anni con un investimento che ammonta a circa 800 milioni di dollari.Una volta completata, su una superficie di 6,3 milioni di metri quadrati, la città ospiterà 40mila residenti in varie tipologie abitative pensate per diversi segmenti della società palestinese e accessibili anche a giovani coppie. «L'obiettivo principale del progetto è di dare una risposta alla grande carenza di abitazioni a prezzi convenienti che abbiamo da anni in Palestina – dice Amir Dajani, vice direttore generale di Bayti, società immobiliare che sta sviluppando il progetto – L'intenzione è di farlo attraverso una città sostenibile e creata attraverso una pianificazione urbana. Oggi la comunità palestinese vuole vivere in città moderne ed ecologiche». Il masterplan, il primo nella storia dell'urbanistica palestinese, prevede aree commerciali, scuole, uffici, due moschee, una chiesa, un ospedale e spazi verdi che occuperanno quasi il 60% della superficie totale. E mentre il design è ispirato alla tradizione mediorientale, gli ideatori affermano di voler gettare le fondamenta per la Palestina di domani. Per farlo hanno scelto la via della sostenibilità che passa attraverso la salvaguardia dell'ambiente, la conservazione del territorio e un uso attento delle risorse. I sistemi adottati a Rawabi vorrebbero diventare un modello per lo sviluppo futuro di tutte le città palestinesi. «Saranno utilizzate soluzioni sostenibili in termini di infrastrutture e servizi – prosegue Dajani – per ridurre le emissioni di CO2, ma anche l'inquinamento visivo. Sceglieremo materiali moderni e isolanti e adotteremo soluzioni per il recupero delle acque piovane e il riuso delle acque grigie. I materiali di scarto dei lavori di costruzione saranno riutilizzati per realizzare strade e arredi urbani. E poi avremo servizi automatizzati per la misurazione dei consumi energetici e sistemi Gsm ». I rifiuti saranno gestiti attraverso la raccolta differenziata porta a porta con una variante innovativa: impiegare nel processo quelle stesse persone che oggi girano per le strade delle città palestinesi raccattando contenitori di metallo per rivenderli. E la sostenibilità a Rawabi si declina anche in senso sociale. La nuova città prevede diversi spazi da riservare ad asili infantili, in modo che le giovani famiglie possano lavorare e allo stesso tempo crescere bambini. Inoltre il masterplan riserva molta attenzione ai luoghi di socializzazione e, ispirandosi all'architettura tradizionale, articola gli spazi esterni in una serie di cortili dove i residenti potranno incontrarsi. Infine l'idea è di fare di Rawabi, oltre che la casa di tutti i palestinesi – come recita lo spot promozionale della città – un polo tecnologico e di ricerca avanzata sull'information technology per dare lavoro ai tanti palestinesi laureati ma disoccupati. Complessivamente la città dovrebbe creare 3.000 posti di lavoro stabili. «Il lavoro è il grosso problema della Palestina – ha dichiarato l'imprenditore palestinese Bashar Al Masri, presidente di Bayti – E Rawabi vuole offrire soluzioni».Ma come tutto quello che accade da queste parti la nuova città è già oggetto di discordia. Prima l'obbligo, imposto dai finanziatori (capofila la Qatari Diar società pubblica di investimenti immobiliari del Qatar) alle imprese edili israeliane che avessero voluto lavorare nel cantiere, di non acquistare alcun materiale proveniente dalle colonie. Ora i disaccordi sugli alberi da piantare per la riforestazione: gli ulivi provenienti da Israele non piacciono agli investitori palestinesi.Intanto il ministro dell'ambiente israeliano Gilad Erdan ha chiesto di visionare la valutazione di impatto ambientale approvata dall'Autorità Palestinese e ha sollevato dubbi sulla reale sostenibilità del progetto. Se non verranno risolti alcuni problemi di gestione ambientale, il ministro minaccia di disporre il blocco della strada di accesso al cantiere. Questa infatti, a differenza di Rawabi che è in zona A, ovvero sotto controllo sia militare che civile dell'Autorià Palestinese, ricade nella zona a controllo israeliano.29 marzo 2011,http://www.ilsole24ore.com/

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