martedì 24 maggio 2011







Alla ricerca di un equilibrio, fra integrità e caduta
Joseph Cedar è uno dei registi Israeliani più apprezzati del momento. Conquistatosi una candidatura al Premio Oscar 2007 grazie al pluripremiato Beaufort, Cedar torna ora sullo schermo con Hearat shulayim, [Nota a pié di pagina], presentato in concorso al Festival del Cinema di Cannes. Nato a New York nel 1968, Cedar si trasferisce giovanissimo in Israele insieme alla famiglia: terminata la leva e laureatosi in Filosofia e Storia del Teatro all’Università di Gerusalemme, torna nella sua città natale per studiare cinema. Ma è in Israele che Cedar debutta, dirigendo Time of Favor (2000), un film intenso che narra la storia di un gruppo di soldati religiosi stanziati in Cisgiordania. È qui che i soldati, agli ordini dello stoico comandante Menachem e sotto l’autorità del rabbino Meltzer, vedono le proprie certezze messe in crisi dalla tesa situazione politica e dalla solenne religiosità dei luoghi. Con il secondo film, Campfire (2004), Cedar continua ad affrontare i temi legati al ritorno degli ebrei nella terra d’Israele: l’appartenenza, l’identità, il patto con Dio. Rachel è una giovane vedova che, cercando di dare un senso alla propria esistenza e di assicurare una vita ordinata alle sue due figlie adolescenti, decide di unirsi a un gruppo di religiosi in un nuovo insediamento nella West Bank. Orso d’Argento a Berlino, Beaufort (2007), ambientato nel 2000, poco prima del ritiro Israeliano dal Libano, mostra invece un gruppo di soldati di Tzahal asserragliati in un forte sotto assedio. Richiusi nel Beaufort in attesa dell’ordine di evacuazione, i soldati affrontano invisibili nemici esterni e le proprie angosce e paure interiori. Il titolo originale, Se esiste il Paradiso, riassume molto bene i temi del film: il valore della vita, il rapporto con il prossimo, la dimensione morale delle azioni umane. Ebreo osservante e sionista, Joseph Cedar porta sullo schermo, con una sensibilità tutta contemporanea, storie di uomini e donne ebrei che, fortemente coinvolti nel loro presente, non per questo si sottraggono al confronto con la Storia, con i valori della tradizione e con gli insegnamenti e le prescrizioni della religione. Nel suo ultimo film, Footnote (Nota a pié di pagina), Cedar usa il registro della commedia per raccontare, ancora una volta, una storia dei nostri giorni che trova il suo senso ultimo nel suo rapportarsi ai modelli della tradizione e all’eredità della Storia. Il Talmud, contenitore dell’esperienza e della tradizione ebraica, è, in questo film, il campo di battaglia nel quale si confrontano due grandi eruditi, i talmudisti Eliezer e Uriel Shkolnik, padre e figlio, dimenticato l’uno quanto celebrato l’altro. Dopo aver passato trenta anni a lavorare su un’ipotesi, Eliezer si ritrova, invece dell’agognato riconoscimento, a essere soltanto citato in una nota a pié di pagina nel libro di un collega. Amareggiato e solo, Eliezer, novello Giobbe, patisce quest’ingiustizia e sviluppa un rapporto di competizione con il figlio che nel frattempo riceve gli onori negati al padre. La complessa struttura del film, costruita intorno a sottili rimandi interni e all’attenzione al dettaglio (proprio come nel Talmud), l’uso espressionistico della luce, la predilezione per i primi piani e la musica sinfonica della colonna sonora fanno dell’opera di Cedar un lavoro originale. Sospesa tra serietà e commedia, la storia di un padre e un figlio, critica appassionata al carrierismo del mondo universitario e alla materialistica società israeliana, diventa uno scontro tra il vecchio e il nuovo, tra la Verità e la menzogna. In ultimo, un’analisi profonda del nostro bisogno di essere riconosciuti e onorati, bisogno che ci spinge al compromesso e alla perdita della nostra integrità. Rocco Giansante
http://www.moked.it/

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