mercoledì 8 giugno 2011


Voci a confronto

Persecuzione è non poter essere sicuri a casa propria, qualunque cosa si faccia: un sentimento che il mondo ebraico conosce purtroppo da sempre. Bisogna prendere atto che siamo di nuovo perseguitati, da arabi ed estremisti di sinistra; e che coloro che ci dovrebbero proteggere non fanno il loro dovere. Due esempi sulle pagine di oggi, la manifestazione “Unexpected Israel” minacciata dagli estremisti a Milano, nel silenzio assordante del nuovo sindaco Pisapia, legato da sempre a quegli stessi ambienti che cercano di impedire una pacifica esposizione dell’arte, della cultura, della scienza e del turismo israeliano, e le conseguenze del tentativo di invasione del territorio israeliano organizzato dal regime siriano.Sull’episodio di Milano bisogna partire dal lungo e inaccettabile silenzio di Pisapia, un segnale pessimo del suo atteggiamento (Massimo Costa su Libero). Nella sua sola dichiarazione pubblica il nuovo sindaco ha detto “Quanto all’aspetto sicurezza, nel pomeriggio, davanti alle telecamere, Pisapia aveva rimandato la questione a Roma: «Credo che su questo il ministro degli Interni, le forze dell’ordine e il questore sono i più adatti per ogni decisione sulla base della situazione»”. (Coppola e D’amico sul Corriere) Non pare un atteggiamento molto interessato da parte di colui che per legge è responsabile dell’ordine pubblico sul territorio comunale. Come giustamente rilevano l’ambasciata di Israele e la Comunità ebraica di Milano, citate in questo stesso articolo, sarebbe molto grave dover spostare la rassegna dal punto di massima visibilità cittadina, un padiglione eretto in Piazza Duomo, come previsto all’inizio, in un luogo chiuso e relativamente poco frequentato come il Castello Sforzesco. Sempre il Corriere pubblica un’intervista a Emanuele Fiano che ribadisce questi concetti. La responsabilità di Pisapia è sottolineata da un articolo di Luigi Santambrogio su Libero. Gerina su L’Unità naturalmente difende Pisapia che nella strana prosa del giornale si troverebbe di fronte al “primo ‘test istituzionale’ per mediare le ragioni di forze sociali e movimenti” e prevede con ottimo spirito profetico che “la decisione di spostare la manifestazione sarà ufficializzata nei prossimi giorni”. Il che significa in sostanza accertare che a Milano e forse in tutt’Italia esiste un diritto di veto sulla presenza della cultura di Israele – un brusco ritorno agli anni delle persecuzioni razziali dovuto allo strano incrocio di nazisti, comunisti e islamisti che odia Israele e all’ignavia dei poteri pubblici che si arrendono alla minaccia dei violenti. Come scrive La Stampa: “L’expo di Israele cacciata da piazza Duomo” Il solo articolo che ribadisce l’esigenza elementare di difendere la manifestazione è quello del Foglio.Anche per quanto riguarda il Golan, le cose sono chiare. Vi è stato un chiaro tentativo di invasione dei confini, premeditato e portato avanti nonostante gli avvertimenti dell’esercito israeliano, che alla fine ha reagito tenendo lo scontro al livello più basso. La responsabilità è tutta del regime palestinese, come chiarisce un bell’articolo di Pezzana su Libero. La maggior parte dei giornali, anche in questo caso, come gli stati e le organizzazioni politiche, mantiene un’insostenibile neutralità fra aggressori e aggrediti: un esempio di questa ipocrisia è l’articolo di Uglietti su Avvenire (“guerra di cifre e versioni fra Siria e Israele”), e anche il commento di Parsi sempre su Avvenire, che parte dal fatto che “Assad soffia sul fuoco” per concludere che “non si può lasciare la politica palestinese alla Siria”, cioè bisogna stare dalla sua stessa parte, magari in maniera più educata. Un altro esempio di ipocrisia sul tema è quello di Marc Henry su Figaro. Sempre Le Figaro, è interessante la notizia di Alana Barluet sulla denuncia che la famiglia Shalit ha fatto contro i rapitori di Gilad davanti a un tribunale francese. Ricordiamo che il 24 di questo mese il soldato rapito in territorio israeliano sarà da 5 anni in mano ai suoi aguzzini.Di fronte a questa situazione di progressivo attacco alla vita stessa di Israele e degli ebrei, su cui è bene leggere l’ottimo pezzo di Giulio Meotti sul Foglio, appaiono sempre più stridenti e inaccettabili le prese di distanza come quella di Yehoshua intervistato oggi sul Fatto. Il pezzo porta il titolo “Netanyahu negoziatore con il mitra”. E’ già accaduto più di una volta (per esempio in un’intervista sulla Stampa, un paio d’anni fa) che il pensiero dell’ottimo scrittore israeliano sia stato deformato. Resta il fatto che le sue prese di posizioni sono spesso inopportune e dilettantesche. E’ duro dirlo, ma forse un grande scrittore dovrebbe pensare di più prima di parlare con i nemici del suo paese.Ugo Volli 7 giugno 2011
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