venerdì 30 settembre 2011


Wishful thinking

Credo, in tutta franchezza, che sia umanamente difficile trovare nella storia della diplomazia internazionale (ma anche della politica, delle relazioni sociali e umane di ogni tipo) un caso di malafede più lampante di questa storia infinita del riconoscimento dello Stato di Palestina. Un risoluzione di questo tipo già c’è stata, nel lontano 1947, ed è stata accolta da parte araba e palestinese nel modo che sappiamo. Il 14 maggio del 1948, che avrebbe dovuto sancire la nascita dei due Stati, è diventato, per i palestinesi, la Naqba, la catastrofe. E ora, - come abbiamo già scritto, sulla newsletter dello scorso 27 aprile - fremono per avere la Naqba bis. Probabilmente, quella del 1947-1948 fu una catastrofe perché, accanto allo Stato di Palestina, avrebbe dovuto nascere, come nacque, uno Stato ebraico. Cosa che non si voleva e, con tutta evidenza, si continua a non volere, come attestano, al di là di qualsiasi possibilità di equivoco, i reiterati rifiuti a qualsiasi concessione sul riconoscimento di Israele come Stato ebraico. Questa è la realtà. Nella richiesta palestinese non c’è un solo granello di spirito conciliante, neanche l’ombra di una sia pur timida, minima apertura a un possibile, ipotetico, immaginario futuro di pacifica coesistenza e collaborazione. Solo un muro di ostilità.Il fatto che la maggioranza dei Paesi del mondo siano d’accordo su questo riconoscimento “a prescindere” dà la misura, in modo drammatico, di quali siano i sentimenti prevalenti nella comunità delle nazioni nei confronti di Israele. Alcuni pensano che la responsabilità di ciò, almeno in parte, sia della stessa politica israeliana. Dico solo, al riguardo, che mi piacerebbe molto se fosse così, perché basterebbe un cambio di politica per ottenere un miglioramento della situazione. Ma, purtroppo, non credo che sia così. Ed è una constatazione molto amara. E credo che sia proprio l’insopportabile durezza di questa idea a indurre non pochi israeliani e sostenitori di Israele a dirsi favorevoli alla risoluzione, come mezzo per raggiungere la pace. Uno Stato di Palestina accanto a uno Stato di Israele, la famosa formula dei “due popoli, due Stati”, l’agognata pace. Sarebbe bello, certo. Ma non è così. E il “wishful thinking” è pericoloso, non ha mai aiutato nessuno lo scambiare i propri desideri per la realtà.Una menzione particolare merita la posizione degli Stati Uniti, che rappresenta un motivo insieme di consolazione e di preoccupazione. La consolazione deriva dal fatto che l’America ha confermato il sostegno a Israele, spendendo in tal senso, ancora una volta, la sua influenza e il suo potere di veto nel Consiglio di Sicurezza. Ed è bene ricordare che l’amicizia degli USA nei confronti di Israele e, più in generale, la solidarietà verso il popolo ebraico e la simpatia per il sionismo non sono degli irreversibili “doni di natura”, sempre esistiti e dati per sempre. Sono noti i sentimenti antisemiti di alcuni fra i grandi protagonisti della storia americana del ‘900 (come Ford o Lindbergh), il Presidente Roosevelt non fece nulla per impedire la Shoah, Eisenhower non amava Israele. Ma l’opzione filo-israeliana, nata, nella guerra fredda, con Kennedy, e poi consolidatasi con Nixon, è stata confermata dal presidente Obama, nonostante la sua provenienza da una comunità, quella afroamericana, nella quale si sono spesso registrati umori non amichevoli (talvolta apertamene ostili) nei confronti degli ebrei. E nonostante anche nelle file delle comunità ebraiche statunitensi siano andati sensibilmente montando, negli ultimi anni, sentimenti di distacco o freddezza nei confronti di Israele. La famosa “lobby ebraica” non è mai esistita (e, se esistesse, non sarebbe comunque composta solo da amici di Israele), ma il sostegno a Israele continua a essere fortemente sentito come un valore dalla maggioranza dell’opinione pubblica statunitense. È questa la consolazione.Quanto alla preoccupazione, scaturisce dal fatto che la protezione americana brilla, per la sua unicità, come una candela nella notte. E la sola idea che possa, un domani, spegnersi, è certamente inquietante.Francesco Lucrezi, storico. http://www.moked.it/

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