domenica 22 gennaio 2012


Il paradigma della vittima

Il dibattito sul senso e gli effetti del Giorno della Memoria merita certamente di essere proseguito. Non c'è dubbio che il Giorno della Memoria non sia in sé un appuntamento ebraico, non riguardi specificamente la memoria ebraica. E' una ricorrenza civile, istituita per legge dagli Stati europei che ha per obiettivo non il modo in cui il nostro popolo perpetuerà la strage più tremenda di cui sia stato fatto oggetto nella sua storia millenaria, ma il ricordo pedagogico, da parte dei popoli europei del più terribile episodio di violenza contro gli inermi della sua storia. Il problema è come si configuri questo ricordo. Scorrendo i giornali in questi giorni è evidente che i due assi principali sono la pietà verso le vittime e l'onore verso i giusti che cercarono di salvarle. Dell'ideologia che motivò la strage e della sua continuità storica con un antisemitismo millenario si parla poco. La Shoah viene isolata come un fenomeno unico e senza precedenti, o al contrario immersa nella spaventosa massa di violenze che costellano la storia dell'umanità; diventa l'azione di un "pazzo" cui un popolo intero (i tedeschi, perché difficilmente si parla di italiani, lituani, ungheresi, polacchi, estoni ecc. ecc.) obbedì per "banalità del male", oppure un esempio fra i tanti di razzismo, imperialismo, nazionalismo omicida.Si tratta in entrambi dei casi di un allontanamento. Chi spera che il ricordo pedagogico produca automaticamente vergogna dei colpevoli e dei loro eredi si illude; perché numerosi studi sulla comunicazione mostrano come essa in generale sia sempre ricevuta selettivamente e selettivamente compresa e ricordata, in maniera da evitare la "dissonanza cognitiva" e soprattutto quella emotiva ed etica. A livello di massa nessuno ricorda qualcosa per vergognarsi, semmai lo dimentica o lo legge in maniera da giustificarsi. Il gesto del farmacista di Roma che ha rimosso la pietre di inciampo è assolutamente esemplare: è possibile compiangere le vittime sentendosi buoni, purché siano lontani da casa nostra, non la trasformino "in un cimitero", non facciano sentire complici degli assassini. Ho sentito più di una volta di sopravvissuti alla Shoah accolti malissimo al loro rientro a casa da parte di vicini e compagni di lavoro che avevano ignorato la loro scomparsa e magari ne avevano approfittato in vari modi. L'odissea degli ebrei espulsi da scuole e università per riavere il loro posto è nota. In molti stati dell'Est la memoria dela complicità collettiva con la Shoah è soffocata dal ricordo, certamente fondato ma non pertinente, dell'oppressione russa o sovietica: un tipico esempio di uso di copertura della memoria.Il risultato di questi modi di coltivare il ricordo, cioè dell'universalismo del ricordo vittimario oppure del suo eccezionalismo, è però molto negativo. Vi è un "paradigma della vittima" che investe come una forma di obbligo il popolo ebraico, magari con un sottotesto teologico: la Shoah è dipinta come un "Olocausto", cioè un sacrificio voluto dalla divinità (naturalmente dipinta come assente, mentre gli uomini erano ben presenti); o addirittura come "il moderno Calvario". Gli ebrei sono da amare in quanto vittime, devono restare vittime e non difendersi dalla violenza altrui, tutte le vittime sono buone, tutte uguali, la violenza è cattiva comunque motivata, anche se avviene per autodifesa. Se non sono vittime, gli ebrei sono "Savi di Sion", dominatori del mondo da smascherare e da distruggere. La normalità di un popolo con i suoi buoni e i suoi cattivi, i suoi meriti e le sue colpe, non è contemplata. In quanto oggetto mitico - vittima o dominante segreto - l'"ebreo" è comunque a rischio.Il risultato finale di questa deriva è quel rovesciamento per cui si parla insistentemente da parte degli antisemiti di "Israele come i nazisti" nei confronti degli arabi: un paragone, bisogna ammettere, che si è diffuso moltissimo negli ultimi anni, da quando il Giorno della Memoria è stato istituito. Non vi è un nesso causale, naturalmente, ma è chiaro che il rovesciare sulle vittime una colpa analoga a quella che era stata da loro inferta è un sollievo, in particolare per chi nutre elementi antisemiti: sì, vi hanno sterminati, ma anche voi fate lo stesso, la storia è un tessuto di violenza, homo homini lupus, quindi non facciamo troppe storie, celebriamo il ricordo di tutti i morti, dai Celti agli Indiani d'America, voltiamo pagina e occupiamoci d'altro, magari del "peccato originale" di Israele.La risposta a queste reazioni, che sono assai diversamente articolate e volute, per lo più quasi incoscienti ma molto generali, talvolta lucide e offensivamente determinate, non può che andare nel senso di ritrovare e spiegare la specificità della Shoah rispetto ad altre forme di genocidio che pur vi sono state come quello armeno, da ricercarsi non nel modo in cui il crimine è stato compiuto e progettato (certamente in maniera più "tecnica" e progettuale, ma non è questo il punto, anzi, questo è un argomento ambiguo, che è stato sollevato da filonazisti come Heidegger), ma nelle sue motivazioni, nella sua continuità con l'antisemitismo e l'antigiudaismo, nella dimensione teologica e nella ricorrenza delle persecuzioni e delle stragi, cioè nella specificità della storia ebraica. La Shoah non va isolata dai pogrom europei ma anche islamici, dall'azione dell'Inquisizione, dalle espulsioni, dalle conversioni forzate (al Cristianesimo ma anche all'Islam), dalle persecuzioni antiche in Egitto e in Persia. Non per trasformare gli ebrei nelle vittime eterne, che è proprio il ruolo metafisico dell'Ewige Jude che non vogliamo, ma per indicare il problema vero, cioè l'insofferenza millenaria nei confronti dei valori ebraici, della libertà e della "ostinata" persistenza di un popolo che non ha rinunciato a conservare il suo messaggio e a conservare se stesso, la sua differenza. Insomma il ricordo del Giorno della Memoria può diventare pedagogico davvero solo se illuminato dalla memoria che il nostro popolo ha di se stesso, della sua identità profonda e della sua presenza nella Storia, se quindi diventa anche nell'attuale in primo luogo difesa dello Stato di Israele. Non si tratta semplicemente di ricordare le vittime e di onorare i giusti in quanto tali, né di prescrivere il rifiuto delle stragi, ma di spiegare che cos'è il popolo ebraico, qual è in esso il nesso fra identità e valori religiosi. Perché è in nome di questo nesso che sono state inferte e sopportate le persecuzioni, la Shoah e oggi il nuovo tentativo di distruggere Israele, che mobilita in maniera più o meno consapevole una buona parte del mondo.http://www.moked.it/, Ugo Volli

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