venerdì 27 gennaio 2012

Israele e Sud Sudan: quattro motivi per un rapporto speciale

Il 20 dicembre 2011 , presidente del neo-nato Stato del , ha fatto la sua prima importante visita ufficiale all’estero, con destinazione . L’incontro con Peres e si è rivelato cordiale, a tratti toccante: un momento fondamentale nei rapporti tra i due Paesi, come sottolineato dallo stesso presidente israeliano. Israele vuole fare del Sud un tassello fondamentale della sua strategia geopolitica ed è disposto ad un coinvolgimento diretto allo sviluppo ed alla protezione del Paese. Il motivo è semplice: il Sud Sudan può rivelarsi un avamposto fondamentale nel cuore delle rotte per il traffico di armi che, partendo dall’Iran e arrivando a Gaza, rappresentano una minaccia diretta per la sicurezza dello Stato ebraico.La visita di Kiir è stata il tentativo di suggellare un legame di collaborazione economica, tecnologica e militare tra i due Stati. Da una parte, tale legame non è per nulla inaspettato: Israele ha inviato aiuti ai ribelli del Sudan meridionale fin dai tempi di David Ben-Gurion, la cui “periphery strategy” consisteva nell’appoggiare tutti i popoli non-arabi del Medio Oriente. Significativo è inoltre il fatto che il riconoscimento al nuovo Stato sia arrivato entro 24 ore dalla proclamazione dell’indipendenza, a suggellare il valore del legame morale e politico tra i due Paesi.Kiir e i leader del sud hanno sempre decantato le lodi del “vicino” mediorientale, e le recenti dichiarazioni di voler essere uno dei primi Paesi ad aprire una rappresentanza diplomatica a Gerusalemme, con tutte le conseguenze che ciò comporta data l’incerta situazione della città, è indice di una profonda fiducia reciproca e volontà di collaborazione a 360 gradi.Dall’altra parte però, come recita un vecchio adagio, l’occasione fa l’uomo ladro: il recente inasprirsi delle tensioni con l’Iran, in aggiunta ai movimenti in atto all’interno delle leadership palestinesi di Hamas e Fatah, paventano la strada per un coinvolgimento diretto di Israele in un’area geografica non direttamente confinante ma di importanza vitale: secondo i calcoli dell’establishment di Tel Aviv, un’area legata alla sopravvivenza stessa del Paese. Perciò l’alleanza si basa sul fatto che, in fin dei conti, i benefici per Israele sono maggiori dei costi, in almeno quattro ambiti.Primo, il problema degli immigrati illegali provenienti dalla zona del Corno d’Africa: il flusso di profughi attraverso i confini porosi con l’Egitto sembra inarrestabile, e mentre una (reale) cortina di ferro viene innalzata lungo la penisola del Sinai, Netanyahu sta cercando il consenso dei suoi maggiori alleati in Africa orientale – Kenya, Uganda ed Etiopia, a cui si aggiunge ora il Sud Sudan. L’obiettivo è iniziare il rimpatrio degli oltre 52.000 sfollati prima che la situazione a livello interno degeneri in una nuova ondata di proteste che metterebbero a repentaglio la stabilità del Paese in un momento così delicato.Secondo, il Sud Sudan è un Paese dalle immense risorse, in primis petrolifere: prima della separazione da Khartoum, il petrolio proveniente dal sud veniva lavorato nelle raffinerie del nord, e poi smerciato lungo le rotte che da Port Sudan si ramificavano nel Mar Rosso, facendo del vecchio Sudan il terzo produttore di petrolio africano. Ora Israele ha intenzione di avere accesso al petrolio posseduto da Juba aggirando il Sudan di Al-Bashir, che nel frattempo sembra voler mantenere il controllo sulla preziosa risorsa, “promettendo” relazioni di buon vicinato con il giovane Stato meridionale. Non meno importante, Juba è sempre stata uno dei principali sbocchi per l’industria bellica israeliana, che non intende rinunciare ad uno dei suoi maggiori partner nel sempre redditizio commercio di armi.Terzo, il legame tra al-Bashir e Hamas: quasi contestualmente alla visita di Kiir in Israele, la leadership di Hamas ha compiuto il suo primo viaggio diplomatico all’estero, in cui è stata inserita una fondamentale tappa proprio a Khartoum, dove Hamas mantiene una base salda anche in vista di una possibile débacle del regime di Assad in Siria.Dichiarazioni di reciproca stima e fiducia tra Al-Bashir e Haniyeh, premier di Hamas a Gaza, si sono accompagnate a rinnovati accordi per gli aiuti alla resistenza palestinese in termini di supporto morale e soprattutto militare. Il tutto è stato costellato dalla riaffermazione dell’importanza di Gerusalemme come capitale dello Stato palestinese, in perfetta opposizione alle dichiarazioni di Kiir durante la sua visita proprio a Gerusalemme. Un aumento dell’influenza israeliana nell’area metterebbe probabilmente un grosso freno ai legami che i leader africani intrattengono con Hamas, isolando gli uni dagli altri e mitigando perciò una grossa fonte di insicurezza.Il quarto ambito infine comprende le ragioni più importanti, che provengono da considerazioni di tipo strategico: il Corno d’Africa è senza dubbio una delle più grandi minacce alla sicurezza di Israele, a causa dei continui flussi di armi provenienti dall’Iran e dirette verso Gaza, tramite la rotta Somalia-Egitto-Gaza e Sudan-Egitto-Gaza. I recenti attacchi aerei compiuti da Israele a fine 2011 su Port Sudan sono infatti da inquadrare in questo contesto.Netanyahu ritiene probabile lo scenario di un coinvolgimento militare diretto in Sud Sudan, in modo da contrastare l’influenza di Teheran nella regione. Kiir non sembra contrario all’eventualità, poiché in cambio otterrebbe la protezione di uno Stato militarmente molto più avanzato e l’effetto deterrente che ne conseguirebbe su eventuali volontà belliche tra i riottosi vicini, Sudan di Bashir in testa.Il Sud Sudan quindi si inserisce perfettamente nella rinnovata “periphery strategy” israeliana, che include tra gli altri Cipro, i curdi, i berberi e possibilmente, un giorno, un Iran post-islamico. Oltre ai benefici pratici, la nuova repubblica sudanese rappresenta perfettamente un esempio di popolazione non-musulmana che è stata capace di resistere all’imperialismo islamico tramite la sua integrità, persistenza e dedicazione. In questo, agli occhi degli israeliani, la nascita del Sud Sudan riecheggia quella di Israele.Netanyahu ha in programma un viaggio in Africa Sub-Sahariana in febbraio. Sebbene considerazioni riguardo alla sicurezza sconsiglino di includere Juba nel suo itinerario, il premier israeliano sta pensando di farne lo stesso una tappa, in modo da dimostrare la volontà di Tel Aviv di incrementare la cooperazione con l’alleato.I segni di riconciliazione tra Fatah e Hamas e l’inizio di trattative volte a far rientrare gli ultimi nell’OLP, assieme alla minaccia nucleare crescente posta dagli ayatollah, urgono Israele a predisporre un fortificato sistema di alleanze su larga scala, che esorbiti dalla sfera mediorientale e si estenda fino a raggiungere i Paesi africani. D’ora in poi saranno essi, Sud Sudan in testa, ad essere volenti o nolenti la nuova frontiera dell’infinita guerra tra Israele e Islam.http://www.meridianionline.org/ di: Andrea Marciandi

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