venerdì 3 febbraio 2012

Gerusalemme suoni e luci
«Non stare a pensare, dai tutta la colpa a Israele»

Di Paul Hirschson http://www.israele.net
Nell’ipotesi che un accordo fra Israele e palestinesi comprenderà la fondazione di uno stato arabo palestinese, è ovvio che la demarcazione del confine fra Israele e il nascituro stato palestinese è cruciale per il raggiungimento dell’accordo. Un logico corollario è che ciò avrà un significativo impatto sugli insediamenti israeliani nel territorio in discussione, cioè in Cisgiordania. La striscia di Gaza, sgomberata da Israele sin dal 2005, non è più oggetto di discussione: essa farà interamente parte del futuro stato palestinese.Non è mai esistita un’entità sovrana in Cisgiordania. Israele la conquistò alla Giordania, che l’aveva occupata nel 1948 dopo la fine dell’amministrazione britannica su tutta l'area. Stiamo dunque parlando dell’assegnazione di sovranità a una “terra nullius”, una terra senza nessuna attribuzione di sovranità.Se è vero che i palestinesi hanno legittime rivendicazioni, è altrettanto vero che ne ha anche Israele. Israele naturalmente può scegliere di non avanzare le proprie rivendicazioni, di sospendere i propri diritti o di cederne alcuni: tutte opzioni che ricadono fra i diritti di chi avanza rivendicazioni. Dal momento che Israele ha adottato la politica della creazione di uno stato palestinese, questo sembra essere effettivamente lo scenario più probabile. Il che tuttavia non annulla le legittime rivendicazioni d’Israele, tant’è vero che alcune porzioni della Cisgiordania verranno indubbiamente incorporate nello Stato di Israele.Stando a quanto vanno dicendo sia in pubblico sia nei cosiddetti “Palestine Papers” fatti trapelare dalla tv Al Jazeera, i palestinesi sembrano accettare questo dato di fatto (sebbene sia legittimo dubitare di tale ipotesi se si presta ascolta a ciò che dice in proposito Hamas).La comunità internazionale, sotto gli auspici del Quartetto (Usa, Ue, Russia e Onu), ha invitato Israele e palestinesi a formulare delle proposte riguardo a confini e sicurezza. Non a caso questi due temi compaiono appaiati: al di là delle legittime rivendicazioni territoriali d’Israele, e forse al di sopra di esse, c’è la questione della sicurezza di Israele. Le Nazioni Unite e tutti i soggetti responsabili hanno inscritto nella loro politica le legittime preoccupazioni d’Israele. La risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza prevede esplicitamente “confini sicuri”, e a proposito del ritiro israeliano vi è intenzionalmente scritto “da” e non “dai” territori.Date queste circostanze, non si può che restare sconcertati dalla soverchiante attenzione che viene data agli insediamenti israeliani in Cisgiordania, certamente rilevanti per l’attribuzione di sovranità su quel territorio, mentre la tutela delle esigenze di sicurezza di Israele viene dibattuta così poco e in modo così approssimativo e senza convinzione.A cosa si deve un approccio così squilibrato, soprattutto a fronte della politica dichiarata e attuata da Israele riguardo agli insediamenti? Nelle elezioni all'inizio del 2009 il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu affermò che non aveva autorizzato nessun nuovo insediamento in Cisgiordania durante il suo precedente mandato e che non aveva intenzione di autorizzarne durante il successivo. Alla fine del 2009, nel tentativo di spronare i palestinesi a tornare al tavolo negoziale Netanyahu deliberò una moratoria di dieci mesi sulle attività edilizie negli insediamenti in tutta la Cisgiordania. Dopo che questa misura non sortì l’effetto di rilanciare i negoziati, Israele, pur riprendendo le attività edilizie (che mai prima d’allora erano state d’ostacolo alle trattative), si impegnò affinché esse non influissero sul processo di pace: le attività edilizie vennero limitate all’interno degli insediamenti (già esistenti) che saranno in ogni caso incorporati nello Stato di Israele.La comunità internazionale, che giustamente cerca di riconciliare le due parti, non fa un favore a nessuno quando asseconda o addirittura – secondo alcuni – incoraggia un travisamento dei fatti circa le attività edilizie negli insediamenti israeliani in Cisgiordania.Ricapitoliamo i fatti: un impegno a non creare nuovi insediamenti; l’imposizione di limiti alle attività edilizie all’interno di quelli già esistenti; una moratoria temporanea (di quasi un anno) di tutte le attività edilizie ebraiche in Cisgiordania; la ripresa delle attività edilizie limitatamente agli insediamenti che tutti sanno che verranno incorporati nello stato d’Israele, lasciando il resto ai negoziati; la cancellazione degli incentivi fiscali che incoraggiavano la gente a trasferirsi in Cisgiordania.L’unica spiegazione del modo in cui viene travisata la politica d’Israele sugli insediamenti in Cisgiordania, eccetto forse per coloro che mirano a perpetuare il conflitto, è quell’atteggiamento di cui ci ha parlato un giornalista della stampa estera spiegando che loro lo indicano simpaticamente con la frase: “Non stare a pensare, dai tutta la colpa a Israele”.(Da: Jerusalem Post, 26.1.12)

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