In pattuglia notturna lungo la blue line con i bersaglieri di Unifil
martedì 7 febbraio 2012
La notte è nera, umida, fredda. La pioggia battente del pomeriggio ci concede una tregua. Alla testa del convoglio un Lince. In ralla una giovane caporale sfida l’aria tagliente dell’inverno libanese e scruta il percorso aggrappata al suo MG. A bordo di un VM protetto, sul quale sventola la bandiera blu dell’Onu, partecipo ad una pattuglia notturna lungo la blue line. Sono sul secondo mezzo del convoglio. Alla guida il caporal maggiore Claudia Cornicolario, 26 anni, del 7° reggimento bersaglieri di Bari. È alla sua seconda missione all’estero. Ha alle spalle un’esperienza in Kosovo e da 5 anni ha la qualifica di autista. Le piace il suo lavoro. Lo ha scelto e non lo cambierebbe con nessun altro sebbene comporti molti sacrifici e molte rinunce. A fianco a lei il sergente maggiore Pasquale Colasanto che, non appena intuisce il mio accento romano, mi racconta che gli manca moltissimo Roma dove ha lavorato per 7 anni. Indosso il giubetto antiproiettile, l’elmetto blu e gli occhiali antischeggia. Dopo l’attentato ai soldati francesi avvenuto a Tiro lo scorso dicembre il livello di sicurezza è stato innalzato e ci si deve attenere scrupolosamente alle disposizioni. Claudia e Pasquale non distolgono un attimo lo sguardo dalla strada. Nel buio le piume da bersagliere che hanno sull’elmetto ondeggiano lievi ad ogni sussulto del VM.Ci lasciamo alle spalle la base italiana di Shama, sede del contingente italiano impegnato nella missione Unifil nel sud del Libano. Percorriamo la costal road, la strada che costeggia il mare. La costa aspra e rocciosa di questa zona del Libano scompare nel buio. Puoi intuirne solo i contorni frastagliati. Superiamo la base italiana di Al Mansouri. Ci fermiamo a circa un chilometro a sud di Al Masoud. Ci troviamo in prossimità del border pillar numero 6, a ridosso della blue line.Scendiamo dai mezzi. Il freddo è pungente e fastidioso. Il vento è gelido ed insistente. Da un lato c’è il Libano. Dall’altro Israele. Siamo al confine tra i due stati. Sospesi in una strana dimensione. L’indeterminatezza del buio rende tutto ancor più surreale. Non si possono scattare foto. Non si possono usare torce. La luce di un flash potrebbe allertare gli israeliani.A guidare la pattuglia il tenente Stefano Parisi, del 7° reggimento bersaglieri, che ci mostra il border pillar numero 6 e ci indica la technical fence. “La rete costituisce quella che è la demarcazione tra il territorio libanese e israeliano che non è un confine a tutti gli effetti perché non esiste un trattato internazionale tra i due stati – spiega il giovane ufficiale – Qui siamo a ridosso di questa delimitazione ed è possibile distinguere il territorio israeliano che è caratterizzato da un’area densamente urbanizzata già a ridosso della blue line mentre nel territorio libanese non è così”.E in effetti il fronte israeliano brulica di luci. Il panorama è costellato di punti luminosi. Sul lato opposto solo terra intervallata da cumuli di rocce che si perde nell’oscurità. “Questa zona è clusterizzata – chiarisce il tenente Parisi – Giornalmente vengono effettuati lavori di sminamento da parte dei team cambogiani, ghanesi o italiani che lavorano lungo la blue line. Motivo per cui è difficile che da questo lato vengano costruite delle abitazioni. Il nostro compito è quello di pattugliare di giorno e di notte contro eventuali violazioni della risoluzione 1701 dell’Onu. Durante le pattuglie vengono effettuati dei posti di osservazione e di ascolto che hanno una durata variabile grazie all’utilizzo di strumenti di visione notturna. Dobbiamo monitorare l’eventuale passaggio di personale civile non autorizzato. In questa zona non avviene quasi mai però in territorio ghanese giornalmente vengono individuati cacciatori che, anche se armati di una semplice arma da caccia, da parte israeliano possono essere visti come persone sospette, come una minaccia. Lungo la technical fence ci sono una serie di sensori che permettono di avvertire se ci sono movimenti in prossimità. Capita spesso che le nostre pattuglie arrivino qui con i mezzi, si spostino, facciano la loro attività di controllo e poco dopo arrivino gli hammer israeliani che fanno attività di controllo dall’altra parte”.Ci troviamo in una zona fortemente minata e ci si può muovere solo sui percorsi battuti senza andare oltre. La popolazione civile conosce i rischi. Infatti capita che pecore e capre che inavvertitamente si avventurano nella zona minata saltino per aria. Quando, durante un pattugliamento, gli italiani individuano movimenti sospetti lo comunicano alla sala operativa che contatta l’ufficiale di collegamento delle Laf, le forze armate libanesi, che manda sul posto il proprio personale. Fortunatamente durante la nostra pattuglia non rileviamo nulla di anomalo. Scrutiamo l’orizzonte con i visori notturni a medio raggio. Tutto è tranquillo. Il freddo si fa sempre più intenso con il passare delle ore.Saliamo nuovamente a bordo dei mezzi. Percorriamo qualche chilometro e giungiamo sul bordo del wadi An Nalka in località Shaki Manar. Ci troviamo davanti ad una distesa di sassi, rocce di grandi dimensioni, arbusti. Ci inoltriamo all’interno di questo “guado” per diversi metri. L’aria è gelida. Qui effettuiamo un osservation point, un punto di osservazione. Con i visori notturni passiamo in rassegna lo spicchio di panorama che abbiamo di fronte. Nulla da segnalare. Tutto intorno è tranquillo.In cielo una luna dalla forma stranissima. Uno spicchio orizzontale che sembra un sorriso. Tanto che ci chiediamo se sia crescente o calante ma non riusciamo a darci una risposta. Sono trascorse diverse ore ormai. Siamo intirizziti dal freddo. E’ ora di rientrare alla base. Mi avvio verso il VM. La notte è nera come la pece. Nera come le piume dei bersaglieri sfiorate dal vento di Shaki Manar.di Ebe Pierini,http://www.italnews.info/
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