mercoledì 1 febbraio 2012



Non so perché e non so come, ma la contestazione da parte di un mio quasi omonimo al mio ultimo Alef/Tav sui grandi della letteratura che sono stati deplorevolmente antisemiti, o razzisti o filonazisti, mi turba un po'. Mi turba non solo perché mette in crisi una certa antica consonanza 'intellettuale' fra le due parti in controversia, ma soprattutto perché mette di fronte a una china che va diritta verso l'intolleranza. Perché se la fruizione di un testo si deve occupare anche di giudicare le qualità umane dell'uomo che l'ha scritto la strada che si intraprende è irta di pericoli. Significa che possiamo/dobbiamo escludere da qualsiasi canone culturale/letterario Céline e Pound, Eliot e Heidegger, dichiarandoli umanamente 'non graditi'; significa, portando il discorso alle sue estreme conseguenze, produrre un indice dei libri proibiti, come in altri tempi, tristissimi e da noi sempre stigmatizzati. Ci creerebbe sicuramente un po' di disagio. E significa anche, facendo un inevitabile passo logico in più, che dovremmo considerare la vita di ogni autore per vedere se nel suo privato egli non si sia macchiato di crimini o di colpe, piccole o grandi; colpe contro la società o contro la famiglia, squallide ipocrisie, malsane ingratitudini, disumane sevizie dell'anima. Significa che dovremmo sospendere il giudizio su più di uno scrittore, grande nell'arte e molto piccolo nella vita. Joyce, per dirne uno, era grande, grandissimo nell'arte, e forse assai piccolo nella vita. Forse anche Svevo lo era. Forse anche Saba lo era. Non erano antisemiti (Saba, forse un po'), ma il problema ideale rimane lo stesso, perché la soglia dell'accettabilità è difficilmente tracciabile; ed è un problema di giudizio, quindi, come sempre in questi casi, un problema che lascia ampio spazio alla soggettività. Un pubblico di lettori, allora, potrebbe non riconoscere, per motivi sempre diversi, l'arte di Wilde o di Pasolini, di Thomas Mann o di Gunter Grass, o, perché no, il Marlowe dell'Ebreo di Malta o lo Shakespeare di Shylock. E non si dovrà più leggere Voltaire. E nessuno dovrà più ascoltare il quinto concerto per pianoforte di Beethoven suonato da un opportunista come Edwin Fischer e da una figura controversa come Wilhelm Furtwängler. E il mio infuriato quasi omonimo non dovrà magari più ascoltare il suo amato ma sospetto Liszt. È terribile doverlo accettare, per chi sta parlando di antisemitismo dopo la shoah, ma è così. Il discorso non accetta limiti. Si può discutere - ma è davvero questione di lana caprina - se sia l'uomo o il contenuto delle sue opere a dover essere messo in discussione, e se sia il contenuto soltanto o anche la possibile genialità della loro forma. Il problema rimane ugualmente inestricabile. Morale ed estetica non sempre si sposano dopo essersi innamorate l'una dell'altra. E a decidere l'inclusione di un testo e di un autore nel canone culturale (e i canoni sono infiniti) non è il singolo individuo, con tutta la furia, anche motivata, della sua ribellione morale ed emotiva, ma la "comunità dei lettori" - come la chiama qualche studioso di estetica della ricezione - che decide di leggere e di apprezzare un testo. Questo può turbarci, ma il nostro turbamento non serve a cambiare il valore del giudizio estetico. Ciò che preme a chi scrive è affermare il principio del divieto di censura, il che non significa disconoscere la meschinità là dove la si trova. Significa solo accettare che essa esiste malgrado il nostro giudizio morale estremamente negativo. Ciò garantisce un dialogo aperto e la possibilità del confronto intellettuale, che affronta il pesante problema e non lo tacita con crociate indignate né lo nasconde, ma in linea con lo spirito ebraico lascia almeno aperto il discorso. E a ciascuno la sua libera opinione. Dario Calimani,anglista, http://www.moked.it/

2 commenti:

Mella ha detto...

Sempre detto che quest'uomo è una grandissima testa di caprifoglio salmistrato.

Anonimo ha detto...

Naturalmente esistono anche i fascisti che si mimetizzano bene dietro al pensiero democratico, e con loro è difficile cercare di ragionare, almeno non con il cervello.