venerdì 23 marzo 2012

Troviamo un posto nella nostra memoria per il piccolo Stefano

C’è ancora il tempo per colmare la lacuna e inserire il nome di Stefano Gaj Tachè nell’elenco delle vittime italiane del terrorismo che ogni 9 maggio il Quirinale, con un’iniziativa che non sarà mai abbastanza lodata, celebrerà in una giornata dedicata a chi ha subito la violenza cieca e omicida dell’intolleranza politica e ideologica. Sono anni che la comunità ebraica chiede che il nome del piccolo bambino ebreo e italiano, ucciso durante un assalto terroristico il 9 ottobre del 1982 all’uscita della Sinagoga Maggiore di Roma, non sia più omesso in quella triste galleria dei ricordi. Oggi si aggiunge la richiesta del fratello di Stefano, Gadiel, che porta ancora oggi nel corpo e nello spirito i segni di quell’attentato: una vittima dell’antisemitismo selvaggio che non ebbe esitazione a colpire bambini ebrei nel cuore del Ghetto di Roma, sulle stesse strade dove il 16 ottobre del ’43 migliaia di ebrei romani vennero deportati, senza ritorno, con destinazione Auschwitz. Oggi, dopo la strage orrenda di Tolosa, il «mai più» che risuona come disperata protesta per un massacro che ha colpito dei bambini ebrei, «colpevoli» solo di essere ebrei, quel «mai più» troverà certamente nella sensibilità del Capo dello Stato, un uomo che ha combattuto e combatte senza risparmio una battaglia contro ogni forma di discriminazione, un ascolto particolare. Non c’è davvero una ragione plausibile perché il nome di Stefano Gaj Tachè sia dimenticato tra quelli che hanno patito i colpi del terrorismo. Non c’è possibilità che il ricordo di un bambino ebreo italiano, colpito solo perché bambino ebreo italiano non sia scolpito nella memoria collettiva nazionale. Il ricordo di una violenza antisemita che non è meno bestiale se rivestita di predicazione «antisionista». Il ricordo di un bambino di due anni che si trovava nel mirino dei terroristi mentre usciva da un tempio ebraico per celebrare assieme alla famiglia la festività ebraica di Sukkot (delle Capanne). I terroristi non fecero distinzione alcuna tra «sionista» ed «ebreo». Erano animati da un odio antiebraico assoluto, da un furore così smisurato verso il «sionismo» da scambiare una sinagoga per un «covo sionista» da distruggere e un bambino ebreo per un simbolo dell’oppressione israeliana.Pierluigi Battista, Corriere della Sera,22 marzo 2012

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