sabato 26 maggio 2012

Il vecchio, il cattivo e l'islamico

Giornata storica per l'Egitto: ieri, per la prima volta, dopo un sessantennio di dittatura nasseriana, i cittadini sono chiamati alle urne per scegliere democraticamente il loro presidente. Ma i candidati sono più l'espressione di un ritorno al passato, che non esponenti della rivoluzione che ha posto fine al regime di Mubarak. I movimenti nati con la rivoluzione dell'11 febbraio sono i più delusi, i meno rappresentati, sia nelle idee che negli uomini. Nessuno di loro è riuscito ad emergere quale leader del nuovo Egitto.E' paradossale che il candidato di punta di queste elezioni sia, infatti, un vecchio uomo di regime: Amr Moussa. Ex ministro degli Esteri di Mubarak negli anni '90, è noto anche in Occidente per essere stato, nel decennio scorso, il segretario generale della Lega Araba. È il volto pragmatico di queste elezioni. Rassicura sia Israele che l'Occidente, promettendo di seguire la linea tracciata dall'Arabia Saudita nel 2002 e mai abbandonata dalle diplomazie arabe: riconoscimento di Israele da parte di tutti i vicini, in cambio del suo ritiro dai territori occupati nel 1967. Forse anche per questo, in Egitto, può incontrare qualche difficoltà in più. Perché i partiti usciti vincitori dalle elezioni parlamentari, Libertà e Giustizia (espressione dei Fratelli Musulmani) e Al Nour (salafita, ultra-fondamentalista) sono chiaramente ostili a Israele. Queste tendenze non sono appannaggio dei soli estremisti islamici. Anche fra i movimenti di piazza, nel febbraio 2011, Mubarak veniva raffigurato con la stella di David in fronte.In un contesto di antisemitismo rampante, fa impressione un altro candidato laico, il nasseriano Hamdeen Sabahi. Oppositore di Mubarak, dunque con un curriculum pulito anche agli occhi dei rivoluzionari più intransigenti, promette, prima di tutto, di rompere ogni rapporto con Israele, che lui considera uno «Stato razzista e aggressore». Intende abolire il trattato di pace, interrompere le forniture di gas e dichiara che la guerra con lo Stato ebraico «non è da escludere».Da questo punto di vista sono già più raffinati i candidati islamici. Che non parlano esplicitamente di una rottura, ma di una "revisione" del trattato con Israele. Uno strano candidato è Abdel Moneim Aboul Fotouh, medico, indipendente, appoggiato dai salafiti di Al Nour. Promette giustizia sociale, redistribuzione delle ricchezze e più fondi per sanità e istruzione. Non si manifesta come un integralista: al suo fianco, nella campagna elettorale, c'è la professoressa al Mahdi, scienziata politica, laica e liberale (non porta neppure il velo). «Le donne non devono temermi» rassicura Fotouh. E sbanca nei sondaggi: mira a raccogliere sia i voti islamici che quelli secolari. Ma perché i salafiti lo appoggiano? Una sua elezione potrebbe riservare brutte sorprese. Apparentemente è più in difficoltà il candidato dei Fratelli Musulmani, Mohamed Morsi. È subentrato all'ultimo minuto al candidato designato da Libertà e Giustizia, il milionario Khairat al Shater e soffre dei tempi rapidi della sua campagna improvvisata. Ma dietro di lui c'è la marea montante organizzata dalla Fratellanza Musulmana, ben radicata nelle moschee e nelle province rurali. E, purtroppo per gli amanti della libertà, l'unica vera alternativa al vecchio regime.http://www.opinione.it/

Nessun commento: