giovedì 27 settembre 2012

La guerra delle fragole

 Hamas vieta l'importazione a Gaza della frutta israeliana per rispondere al blocco delle merci palestinesi Ma c'è anche un altro, meno nobile, obiettivo

di FABIO SCUTO, http://www.repubblica.it/

La battaglia per l'autarchia di Gaza non è più solo uno slogan con cui Hamas, che della Striscia è in qualche modo il padrone, nutre la sua retorica. Certo Gaza e il suo milione e mezzo di abitanti sono sotto uno stretto embargo economico israeliano. Da anni solo determinate merci e non altre, passano attraverso l'unico valico destinato a quest'uso, quello di Kerem Shalom, e di fatto è impedita l'esportazione dei prodotti agricoli di Gaza. Per questo Hamas è sceso in campo con la "battaglia della frutta": da lunedì scorso la frutta made in Israel è bandita nella Striscia, se non per le banane e le mele, che nei campi sulle rive del Mediterraneo non vengono coltivati. Per gli integralisti si tratta di un "atto della resistenza" contro lo Stato ebraico, ma la decisione si scontra con i commercianti, che temono una rapida ascesa dei prezzi in una realtà dall'economia disastrata come quella di Gaza.La disoccupazione nella Striscia sfiora il 40 per cento; i tre settori portanti dell'economia - edilizia, agricoltura e pesca - sono boccheggianti; un milione di palestinesi dipende per la sopravvivenza dagli aiuti alimentari distribuiti dalle Nazione Unite.Tahseen Al Saqqa, direttore del Ministero dell'agricoltura di Hamas, dice che la decisione del suo governo è una risposta a quello che definisce il rifiuto di Israele di autorizzare le esportazioni agricole palestinesi come le fragole o l'uva prodotta in gran quantità nei campi dellaStriscia."Tutti i nostri possibili sbocchi per l'esportazione sono chiusi", dice Saqqa, sostenendo che questo incoraggerà il consumo di prodotti locali. L'accusa è smentita però da Israele che limita il traffico merci dentro e fuori Gaza."Non sono a conoscenza di nessuna richiesta di esportare prodotti da Gaza che sia stata rifiutata", replica Guy Inbar, portavoce del ministero della Difesa, che si occupa anche dei rapporti economici con i Territori.Resta il fatto che sulle bancarelle lungo la Omar Moukthar Street, nel cuore di Gaza City, i prezzi delle pesche sono quasi raddoppiati in meno di 48 ore, passando da 7 a 11 shekel al kilo. Cioè da un euro e mezzo a quasi due euro al chilo.Lo stipendio medio a Gaza - per chi ha la fortuna di averlo - non supera i 500 euro al mese. Con questi prezzi solo poche famiglie potranno permettersi di mettere frutta sul tavolo da pranzo. Dice Jaber Al Shanty, uno dei principali importatori di frutta di Gaza: "Il divieto del governo di Hamas è irresponsabile e irrealistico, i nostri prodotti locali non sono sufficienti a soddisfare la domanda: in primavera cosa possiamo offrire oltre alle fragole e all'uva?". Al Shanty fa poi notare che centinaia di palestinesi che lavorano nella commercializzazione dei prodotti perderanno il lavoro. Facile per Hikmat Abu Al Qombuz, un altro importatore, prevedere che l'aumento dei prezzi sarà rapidissimo. Hamas veste questa sua campagna per l'autarchia della Striscia, che governa dal 2007 dopo il golpe islamico contro Abu Mazen, come "la resistenza contro il blocco economico" di Israele ma la realtà sembra essere un'altra.Molte restrizioni commerciali verso Gaza sono state rimosse e il numero dei prodotti che è possibile importare nella Striscia da Israele è adesso aumentato, ma queste merci quando arrivano attraverso il valico di Kerem Shalom sono già gravate dalle tasse israeliane e tassarle ancora le metterebbe fuori mercato. Grazie anche all'instabilità dell'Egitto, negli ultimi due anni si è rafforzato il contrabbando che passa attraverso i tunnel che collegano la Striscia al Sinai: lungo i 13 chilometri di frontiera sono in attività almeno seicento tunnel di varia dimensione, gestiti in gran parte dai beduini egiziani e dai fiorenti gruppi mafioso-jihadisti molto attivi nel sud e spesso collegati con le bande che dal Sinai attaccano Israele. Altri tunnel sono nelle mani di Hamas ed hanno un uso militare: servono a contrabbandare armi e missili, arrivati in grandi quantità nell'ultimo anno specialmente dagli arsenali libici. I tunnel commerciali sono la vena giugulare con la quale la popolazione civile della Striscia si rifornisce da anni. Attraverso le gallerie scavate nella sabbia passa di tutto, lavatrici, frigoriferi, macchine del gas, salotti, medicine, libri, penne, mucche, pecore, motociclette, auto. Un mafioso jihadista di Khan Younis ha regalato uno zoo alla sua città con tigri, leoni, giraffe e altri animali esotici, tutti passati attraverso i tunnel del contrabbando con l'aiuto di veterinari.Il tunnel è certamente la prima industria del sud di Gaza, e può far incassare anche 2 milioni di dollari al giorno al gruppo che lo gestisce. Su tutto questo enorme giro economico Hamas esige una fetta, una tassazione del 7% su ogni singolo prodotto che attraversa il confine. Un giro d'affari che fa di questa "tassa" la prima voce del bilancio di Hamas. Nonostante tutti i ricarichi che i contrabbandieri mettono sulle merci che dall'Egitto transitano nei tunnel, queste restano sempre molto più economiche di quelle importate da Israele. La Striscia è invasa da prodotti made in China a basso prezzo che arrivano dai tunnel. Il caso emblematico è quello della benzina. Quella importata da Israele costa 7 shekel al litro (1,5 euro), quella contrabbandata dal Sinai attraverso i tunnel solo 3, perché il prezzo al litro in Egitto è molto più basso, e anche dopo la tassa di Hamas è sempre più conveniente di quella israeliana. Vista la corsa dei prezzi anche la frutta fresca diventerà presto un genere di contrabbando.

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