venerdì 5 ottobre 2012
Un
equivoco galleggiato sulla superfice oceanica delle notizie, si
aggiunge ai soliti equivoci sulla verità profonda dello sterminio
ebraico, spesso circondato da espressioni vuote, spesso chiacchierato,
cosparso di errori che sono ragli, di rado umilmente meditato e
compreso. Questo equivoco è l'uso continuato dell'espressione "nostro
grande dolore", dilagata nelle dichiarazioni di questo e di quello,
ansiosi di non mancare l'occasione di presenziare mediaticamente. Tra
gli ultimi testimoni della Shoah, nato a Salonicco, deportato nel 1944
ad Auschwitz-Birkenau e lì morto mille e mille volte, Shlomo Venezia
fece parte delle squadre degli ebrei ancora più nella sciagura degli
altri, che dovevano trasportare alla cremazione i cadaveri delle camere
a gas. Su di lui la vita ha posto peso sopra peso: il primo, la
condizione di tutti i deportati; poi la condizionare di fissare
ogni giorno l'insensata materia umana dopo la morte nelle camere, se
appunto quello fosse essere uomini; il ricordo incancellabile dei corpi
trasportati sui carretti con centinaia di ultime espressioni, unito al
ricordo di quello che pensava in quei lunghi momenti giornalieri, il
che non è mica un ricordo, ma rogna che mangia lo spirito, struggimento
nero. Infine il peso e la volontà di presentare tutto questo al mondo,
ricordarlo in modo appunto memorabile, netto e non invasivo, nella
lunga vita rimasta. E chissà se quella cosa tossica che scorreva
dentro a lui assieme alle giornate, alla fine desse il risultato di
essere vita. Che ci abbia lasciati crea grande dolore, ma soprattutto
il sollievo che sia giunta la sua libertà. Ora sì, che è uscito da
Auschwitz. Il Tizio della Sera, http://www.moked.it/
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