L'inizio di una nuova fase in cui ci siamo ritrovati
lunedì 8 ottobre 2012
Parlare
da storica e non da testimone di un evento a cui si è assistito da
vicino è difficile. I sapori e le emozioni si mescolano alla
riflessione e la disturbano. È quello che mi succede se penso
all’attentato alla sinagoga del 9 ottobre 1982 e se mi pongo delle
domande sul suo significato utilizzando non i ricordi ancora brucianti
di quel giorno ma gli strumenti del mio mestiere di storica. Cosa è
cambiato con quell’attentato, ed è veramente cambiato qualcosa, e in
che misura, nei rapporti tra gli ebrei italiani e la società italiana?
La questione richiederebbe un’analisi approfondita, mi limito qui ad
alcuni spunti di riflessione. È stato detto che l’attentato ha
rappresentato il momento della rottura fra la sinistra italiana e il
mondo ebraico. Ma questa rottura era ben precedente, risale alla guerra
dei Sei Giorni, e si consolida ben prima del 1982 nelle posizioni
fortemente filopalestinesi che prevalgono nella sinistra
extraparlamentare negli anni Settanta. Si, è vero, nel giugno 1982
c’era stato l’orribile episodio della bara lasciata da un corteo
sindacale davanti alla sinagoga, e il clima filopalestinese, e non solo
nei movimenti dell’ultrasinistra, era divenuto incandescente dopo il
massacro di Sabra e Chatila, avvenuto solo tre settimane prima, il 15
settembre. L’opinione pubblica e i media erano concordemente
antiisraeliani. Si può forse ritenere che in generale il 1982, con la
guerra del Libano, abbia rappresentato il momento di massima rottura
fra la sinistra e il mondo ebraico italiano, un mondo ebraico comunque
non omogeneo e agitato da molte critiche alla politica di Israele e da
molte tensioni interne. Ma il momento dell’attentato ha semmai
rappresentato da una parte il momento in cui il mondo ebraico si è
ricompattato nella tragedia e dall’altra quello in cui l’opinione
pubblica, di fronte ad un attentato terroristico di quella natura, ha
cominciato, sia pur faticosamente e con molte incertezze, a prendere le
distanze dal terrorismo palestinese e dai suoi strumenti. Perché a
molti è diventato allora chiaro che sostenere le ragioni dei
palestinesi, questione su cui si poteva discutere ed essere o meno
d’accordo, non aveva come sbocco necessario l’attentato e il massacro.
Che un attentato terroristico non poteva non essere condannato senza se
e senza ma. Il 1982 ha segnato così l’inizio di una fase nuova, in cui
gli ebrei e i non ebrei hanno ricominciato, forse, a parlarsi e a
vedersi. Cosa che non facevano da molto tempo, che non avevano
ricominciato davvero a fare nel dopoguerra. Il processo è certamente
stato lungo e faticoso, non privo di ulteriori drammatiche rotture, di
sospetti e diffidenze da parte ebraica, di propaganda e di luoghi
comuni da parte della sinistra. Ci sono voluti quasi altri dieci anni
prima che il mutamento toccasse, nel periodo della prima guerra del
Golfo, la sinistra ufficiale, e anche allora solo in parte. Che tutto
questo sia cominciato con il sangue di un bambino, è un’altra terribile
beffa della storia.Anna Foa, storica http://www.moked.it/
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