martedì 2 ottobre 2012

Soldati italiani, brava gente

 Menachem Shelah, professore di Gerusalemme esprime nel libro " un debito di gratitudine. storia dei rapporti tra l' esercito italiano e gli ebrei in Dalmazia , gratitudine agli uomini dell' esercito fascista: e' uno dei cinquemila scampati al massacro grazie all' operato dei nostri connazionali

  Uno studioso israeliano riporta alla luce l' opera umanitaria svolta in Dalmazia dai nostri militari nel ' 43. Per salvare ebrei e serbi dal furore degli ustascia TITOLO: Soldati italiani, brava gente Un professore di Gerusalemme esprime in un libro gratitudine agli uomini dell' esercito fascista: e' uno dei cinquemila scampati al massacro grazie all' operato dei nostri connazionali .ùLa storia e' spesso fatta di pagine dimenticate, ingiallite nel ricordo. Ma capita a volte che sulla lunga distanza i fatti si prendano la loro rivincita. Cosi' all' improvviso la patina del tempo scivola via e tutto riacquista un' imprevista attualita' . Quanti conoscono, per fare un esempio, quale fu il ruolo dell' esercito italiano in Dalmazia durante la seconda guerra mondiale? Quanti sanno degli eroismi grandi o piccoli di cui furono capaci ufficiali e soldati delle nostre truppe d' occupazione nello sforzo di dividere croati e serbi, di difendere questi ultimi dalla criminalita' degli ustascia, di proteggere migliaia di ebrei da una morte sicura? Oggi che nella ex Jugoslavia scorre di nuovo il sangue, in un modo che sembra essere inarrestabile, merita ritrovare il filo della memoria perduta. Di recente l' Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell' esercito ha pubblicato l' opera di uno studioso israeliano, Menachem Shelah, che reca un titolo significativo: "Un debito di gratitudine . Storia dei rapporti tra l' esercito italiano e gli ebrei in Dalmazia (1941 ' 43)". Il libro, curato da Antonello Biagini e Rita Tolomeo e tradotto da Gaio Sciloni, e' di qualche anno fa, ma in Italia non e' conosciuto a sufficienza. Un professore di Gerusalemme che esprime "gratitudine" agli uomini di un esercito fascista? Gia' questo puo' incuriosire. Ma si comincia a capire quando si scopre che lo stesso Shelah e' uno degli scampati. Uno dei circa cinquemila ebrei jugoslavi che gli italiani si rifiutarono di consegnare ai tedeschi e ai loro gregari croati, appunto gli ustascia dell' ex avvocato Ante Pavelic. Per tanti altri, che non riuscirono a raggiungere la zona d' occupazione italiana lungo la costa dalmata, non ci fu scampo ed essi andarono ad aggiungere i loro nomi all' elenco infinito dell' Olocausto. "Non si deve credere che gli italiani proteggessero solo gli ebrei . commenta oggi un noto esperto militare, Edward Luttwak .. L' esercito agi' come forza d' interposizione fra croati e serbi, per meglio dire impedi' alle bande croate di massacrare tanti civili appartenenti all' etnia serba. Fu uno slancio che accumuno' i generali dello stato maggiore e i militari di grado inferiore, fino all' ultimo caporale. E fu dettato soprattutto da spirito umanitario". La storia comincia nell' aprile del ' 41, quando prende il via l' invasione nazista della Jugoslavia. Il paese e' smembrato: "Il suo cuore, la Serbia, roccaforte dell' insurrezione e della resistenza, fu sottoposto a un governo militare tedesco; a Nord la Slovenia fu annessa, in parte, al distretto austriaco di Steiermark che faceva parte del Reich e in parte, compresa la capitale Lubiana, fu consegnata a un alto commissario italiano e in pratica annessa all' Italia... La quale gode' di un altro ricco bottino: quasi tutta la costa adriatica. Nel resto della Jugoslavia, i tedeschi e gli italiani crearono uno staterello satellite denominato Stato Indipendente Croato". Nelle intenzioni di Hitler, la Croazia doveva rientrare nella sfera di influenza italiana. Ragione per cui si servi' degli ustascia, come manovalanza militare e bassa macelleria, ma evito' di offrire coperture politiche a Pavelic, il quale ostentava coi tedeschi il suo oltranzismo nazista e il suo anti semitismo. I rapporti fra croati e italiani invece si deteriorarono rapidamente, anche perche' le truppe di Roma assunsero il controllo militare di una fascia profonda circa ottanta chilometri lungo tutta la costa verso l' interno. Ed e' qui che si svolsero gli innumerevoli episodi che videro i soldati italiani proteggere la popolazione serba e salvare i profughi ebrei. La "pulizia etnica" non nasce oggi. Erano circa ottantamila gli ebrei che vivevano in Jugoslavia all' inizio della guerra. Ne restavano tredicimilacinquecento alla fine del conflitto. Di questi, scrive Shelah, "un terzo doveva la vita agli italiani... Per piu' di due anni, dall' aprile del 1941 al settembre del 1943, gli italiani avevano steso una rete protettiva sugli ebrei della Croazia che erano riusciti a sfuggire ai loro carnefici ustascia e tedeschi. Li avevano salvati mentre tutto attorno infuriava la bufera della "soluzione finale", i treni carichi di ebrei giungevano ogni giorno ai Lager e migliaia di esseri umani divenivano ogni giorno grigia cenere nei forni di Auschwitz, Treblinka, Sovivor, Hlemno". Dei cinquemila salvati, circa mille furono trasferiti in Italia prima del dicembre del ' 41. Gli altri furono aiutati con mille sotterfugi. Nonostante l' alleanza italiana con la Germania. Nonostante le leggi razziali vigenti allora in Italia. Nonostante le asfissianti pressioni tedesche, in loco e a Roma. Nonostante un impegno firmato da Mussolini nel ' 42 per consegnare gli ebrei, impegno mai rispettato nella pratica. Non tutto fu idilliaco, certo. Ci furono incidenti, episodi contraddittori, esempi di zelo nei confronti dell' alleato nazista. Ma nel complesso, documenta Shelah, tutto questo fu marginale rispetto alla linea generale, ispirata a tolleranza e a profonda diffidenza, anzi a vero disgusto verso i metodi usati dai tedeschi e dagli ustascia. Ufficiali come i generali Ambrosio, Roatta e Robotti, che comandarono in tempi successivi la Seconda Armata; diplomatici come il conte Luca Pietromarchi, un personaggio di notevole statura, e il suo aiutante Roberto Ducci; politici come il governatore della Dalmazia Bastianini, un ex squadrista: tutti costoro frenarono e aggirarono le disposizioni anti ebraiche che arrivavano dal governo centrale. In qualche caso le sabotarono, il piu' delle volte si limitarono ad aggirarle facendo ricorso alle infinite risorse della burocrazia eterna. Cosi' , se i quadri intermedi strappavano gli ebrei ai croati, gli alti gradi si preoccupavano di evitare la consegna ai nazisti, magari concentrando i profughi in campi italiani, scomodi ma alternativi alla deportazione. Ricorda oggi l' ambasciatore Fausto Bacchetti, allora giovane ufficiale presso il comando del Quinto Corpo d' Armata: "Una volta accadde persino che si inventasse una spedizione militare per andare a prendere un gruppo di ebrei nella zona croata. Alcuni, una dozzina, furono nascosti dentro i carri armati e portati dietro le linee italiane. I responsabili furono poi puniti, ma possiamo dire in modo del tutto simbolico". Come fu possibile tutto questo? In parte per spirito umanitario, certo. In qualche caso per calcolo politico, con il pensiero rivolto al dopo. Ma in buona misura perche' l' esercito difendeva gelosamente la sua autonomia rispetto ai tentativi di ideologizzarlo e covava un sordo disprezzo nei confronti dell' alleato germanico. In parte ancora pesavano gli elementi di opportunismo e di approssimazione che erano tipici del Duce. Scrive Shelah: "Quando si trovo' a dover trattare la questione ebraica, Mussolini adotto' spesso un atteggiamento instabile, ambiguo, polivalente, sempre a seconda di quanto gli sembrava potesse servire, in quel momento, ai suoi scopi immediati". Le leggi razziali del ' 38, continua lo storico, "colpirono duramente gli ebrei d' Italia: molti di loro furono cacciati dagli impieghi (soprattutto da scuole e uffici governativi)... formalmente divennero cittadini di secondo rango. Pero' , come spesso succedeva nell' Italia mussoliniana, il fumo fu molto maggiore del fuoco. Le leggi razziali furono applicate in modo incostante e con trascuratezza, e non pochi furono i funzionari che semplicemente le ignorarono". In queste parole non c' e' una giustificazione storica di Mussolini. La sua acquiescenza alla Germania risulta anzi confermata. Ma quello che contava per il Duce, osserva ancora Shelah, era il gesto teatrale, non le sue conseguenze pratiche. Quindi, la destra non sappia quello che fa la sinistra... E in Dalmazia le sentinelle facevano finta di non vedere i profughi che attraversavano la frontiera. E i generali non avevano mai i camion per trasportare gli ebrei ai centri di raccolta tedeschi. Ma non era un gioco, era una sfida mortale. Il generale Giuseppe Amico, che comandava, a Ragusa, la divisione "Marche", si espose tanto che i nazisti presero a considerarlo un loro nemico giurato. Dopo l' 8 settembre lo catturarono e lo fucilarono senza processo. Alla sua memoria e' stata concessa, nel dopoguerra, la medaglia d' oro. Fausto Bacchetti propone, oggi, questa riflessione: "Credo che la motivazione dei generali fosse la difesa dell' onore militare. Era disonorevole rastrellare inermi civili e spedirli a morire in nome di un principio razziale. Non a caso anche in Grecia e in Francia ci comportammo allo stesso modo". E Shelah conclude: "Proprio come non dobbiamo mai dimenticare cio' che hanno commesso contro di noi i nostri nemici, cosi' dobbiamo sempre ricordare l' opera compiuta dai nostri amici".Folli Stefano agosto 1993 - Corriere della Sera

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