Soldati italiani, brava gente
Menachem Shelah, professore di Gerusalemme esprime nel libro " un
debito di gratitudine. storia dei rapporti tra l' esercito italiano e
gli ebrei in Dalmazia , gratitudine agli uomini dell' esercito fascista:
e' uno dei cinquemila scampati al massacro grazie all' operato dei
nostri connazionali
Uno studioso israeliano riporta alla luce l' opera umanitaria svolta
in Dalmazia dai nostri militari nel ' 43. Per salvare ebrei e serbi dal
furore degli ustascia TITOLO: Soldati italiani, brava gente Un
professore di Gerusalemme esprime in un libro gratitudine agli uomini
dell' esercito fascista: e' uno dei cinquemila scampati al massacro
grazie all' operato dei nostri connazionali .ùLa storia e' spesso fatta di
pagine dimenticate, ingiallite nel ricordo. Ma capita a volte che sulla
lunga distanza i fatti si prendano la loro rivincita. Cosi' all'
improvviso la patina del tempo scivola via e tutto riacquista un'
imprevista attualita' . Quanti conoscono, per fare un esempio, quale fu
il ruolo dell' esercito italiano in Dalmazia durante la seconda guerra
mondiale? Quanti sanno degli eroismi grandi o piccoli di cui furono
capaci ufficiali e soldati delle nostre truppe d' occupazione nello
sforzo di dividere croati e serbi, di difendere questi ultimi dalla
criminalita' degli ustascia, di proteggere migliaia di ebrei da una
morte sicura? Oggi che nella ex Jugoslavia scorre di nuovo il sangue, in
un modo che sembra essere inarrestabile, merita ritrovare il filo della
memoria perduta. Di recente l' Ufficio Storico dello Stato Maggiore
dell' esercito ha pubblicato l' opera di uno studioso israeliano,
Menachem Shelah, che reca un titolo significativo: "Un debito di
gratitudine . Storia dei rapporti tra l' esercito italiano e gli ebrei
in Dalmazia (1941 ' 43)". Il libro, curato da Antonello Biagini e Rita
Tolomeo e tradotto da Gaio Sciloni, e' di qualche anno fa, ma in Italia
non e' conosciuto a sufficienza. Un professore di Gerusalemme che
esprime "gratitudine" agli uomini di un esercito fascista? Gia' questo
puo' incuriosire. Ma si comincia a capire quando si scopre che lo stesso
Shelah e' uno degli scampati. Uno dei circa cinquemila ebrei jugoslavi
che gli italiani si rifiutarono di consegnare ai tedeschi e ai loro
gregari croati, appunto gli ustascia dell' ex avvocato Ante Pavelic. Per
tanti altri, che non riuscirono a raggiungere la zona d' occupazione
italiana lungo la costa dalmata, non ci fu scampo ed essi andarono ad
aggiungere i loro nomi all' elenco infinito dell' Olocausto. "Non si
deve credere che gli italiani proteggessero solo gli ebrei . commenta
oggi un noto esperto militare, Edward Luttwak .. L' esercito agi' come
forza d' interposizione fra croati e serbi, per meglio dire impedi' alle
bande croate di massacrare tanti civili appartenenti all' etnia serba.
Fu uno slancio che accumuno' i generali dello stato maggiore e i
militari di grado inferiore, fino all' ultimo caporale. E fu dettato
soprattutto da spirito umanitario". La storia comincia nell' aprile del '
41, quando prende il via l' invasione nazista della Jugoslavia. Il
paese e' smembrato: "Il suo cuore, la Serbia, roccaforte dell'
insurrezione e della resistenza, fu sottoposto a un governo militare
tedesco; a Nord la Slovenia fu annessa, in parte, al distretto austriaco
di Steiermark che faceva parte del Reich e in parte, compresa la
capitale Lubiana, fu consegnata a un alto commissario italiano e in
pratica annessa all' Italia... La quale gode' di un altro ricco bottino:
quasi tutta la costa adriatica. Nel resto della Jugoslavia, i tedeschi e
gli italiani crearono uno staterello satellite denominato Stato
Indipendente Croato". Nelle intenzioni di Hitler, la Croazia doveva
rientrare nella sfera di influenza italiana. Ragione per cui si servi'
degli ustascia, come manovalanza militare e bassa macelleria, ma evito'
di offrire coperture politiche a Pavelic, il quale ostentava coi
tedeschi il suo oltranzismo nazista e il suo anti semitismo. I rapporti
fra croati e italiani invece si deteriorarono rapidamente, anche perche'
le truppe di Roma assunsero il controllo militare di una fascia
profonda circa ottanta chilometri lungo tutta la costa verso l' interno.
Ed e' qui che si svolsero gli innumerevoli episodi che videro i soldati
italiani proteggere la popolazione serba e salvare i profughi ebrei. La
"pulizia etnica" non nasce oggi. Erano circa ottantamila gli ebrei che
vivevano in Jugoslavia all' inizio della guerra. Ne restavano
tredicimilacinquecento alla fine del conflitto. Di questi, scrive
Shelah, "un terzo doveva la vita agli italiani... Per piu' di due anni,
dall' aprile del 1941 al settembre del 1943, gli italiani avevano steso
una rete protettiva sugli ebrei della Croazia che erano riusciti a
sfuggire ai loro carnefici ustascia e tedeschi. Li avevano salvati
mentre tutto attorno infuriava la bufera della "soluzione finale", i
treni carichi di ebrei giungevano ogni giorno ai Lager e migliaia di
esseri umani divenivano ogni giorno grigia cenere nei forni di
Auschwitz, Treblinka, Sovivor, Hlemno". Dei cinquemila salvati, circa
mille furono trasferiti in Italia prima del dicembre del ' 41. Gli altri
furono aiutati con mille sotterfugi. Nonostante l' alleanza italiana
con la Germania. Nonostante le leggi razziali vigenti allora in Italia.
Nonostante le asfissianti pressioni tedesche, in loco e a Roma.
Nonostante un impegno firmato da Mussolini nel ' 42 per consegnare gli
ebrei, impegno mai rispettato nella pratica. Non tutto fu idilliaco,
certo. Ci furono incidenti, episodi contraddittori, esempi di zelo nei
confronti dell' alleato nazista. Ma nel complesso, documenta Shelah,
tutto questo fu marginale rispetto alla linea generale, ispirata a
tolleranza e a profonda diffidenza, anzi a vero disgusto verso i metodi
usati dai tedeschi e dagli ustascia. Ufficiali come i generali Ambrosio,
Roatta e Robotti, che comandarono in tempi successivi la Seconda
Armata; diplomatici come il conte Luca Pietromarchi, un personaggio di
notevole statura, e il suo aiutante Roberto Ducci; politici come il
governatore della Dalmazia Bastianini, un ex squadrista: tutti costoro
frenarono e aggirarono le disposizioni anti ebraiche che arrivavano dal
governo centrale. In qualche caso le sabotarono, il piu' delle volte si
limitarono ad aggirarle facendo ricorso alle infinite risorse della
burocrazia eterna. Cosi' , se i quadri intermedi strappavano gli ebrei
ai croati, gli alti gradi si preoccupavano di evitare la consegna ai
nazisti, magari concentrando i profughi in campi italiani, scomodi ma
alternativi alla deportazione. Ricorda oggi l' ambasciatore Fausto
Bacchetti, allora giovane ufficiale presso il comando del Quinto Corpo
d' Armata: "Una volta accadde persino che si inventasse una spedizione
militare per andare a prendere un gruppo di ebrei nella zona croata.
Alcuni, una dozzina, furono nascosti dentro i carri armati e portati
dietro le linee italiane. I responsabili furono poi puniti, ma possiamo
dire in modo del tutto simbolico". Come fu possibile tutto questo? In
parte per spirito umanitario, certo. In qualche caso per calcolo
politico, con il pensiero rivolto al dopo. Ma in buona misura perche' l'
esercito difendeva gelosamente la sua autonomia rispetto ai tentativi
di ideologizzarlo e covava un sordo disprezzo nei confronti dell'
alleato germanico. In parte ancora pesavano gli elementi di opportunismo
e di approssimazione che erano tipici del Duce. Scrive Shelah: "Quando
si trovo' a dover trattare la questione ebraica, Mussolini adotto'
spesso un atteggiamento instabile, ambiguo, polivalente, sempre a
seconda di quanto gli sembrava potesse servire, in quel momento, ai suoi
scopi immediati". Le leggi razziali del ' 38, continua lo storico,
"colpirono duramente gli ebrei d' Italia: molti di loro furono cacciati
dagli impieghi (soprattutto da scuole e uffici governativi)...
formalmente divennero cittadini di secondo rango. Pero' , come spesso
succedeva nell' Italia mussoliniana, il fumo fu molto maggiore del
fuoco. Le leggi razziali furono applicate in modo incostante e con
trascuratezza, e non pochi furono i funzionari che semplicemente le
ignorarono". In queste parole non c' e' una giustificazione storica di
Mussolini. La sua acquiescenza alla Germania risulta anzi confermata. Ma
quello che contava per il Duce, osserva ancora Shelah, era il gesto
teatrale, non le sue conseguenze pratiche. Quindi, la destra non sappia
quello che fa la sinistra... E in Dalmazia le sentinelle facevano finta
di non vedere i profughi che attraversavano la frontiera. E i generali
non avevano mai i camion per trasportare gli ebrei ai centri di raccolta
tedeschi. Ma non era un gioco, era una sfida mortale. Il generale
Giuseppe Amico, che comandava, a Ragusa, la divisione "Marche", si
espose tanto che i nazisti presero a considerarlo un loro nemico
giurato. Dopo l' 8 settembre lo catturarono e lo fucilarono senza
processo. Alla sua memoria e' stata concessa, nel dopoguerra, la
medaglia d' oro. Fausto Bacchetti propone, oggi, questa riflessione:
"Credo che la motivazione dei generali fosse la difesa dell' onore
militare. Era disonorevole rastrellare inermi civili e spedirli a morire
in nome di un principio razziale. Non a caso anche in Grecia e in
Francia ci comportammo allo stesso modo". E Shelah conclude: "Proprio
come non dobbiamo mai dimenticare cio' che hanno commesso contro di noi i
nostri nemici, cosi' dobbiamo sempre ricordare l' opera compiuta dai
nostri amici".Folli Stefano agosto 1993 - Corriere della Sera
Nessun commento:
Posta un commento