martedì 2 ottobre 2012
IL
RAPPORTO HIMMLER Giuseppe Pièche
Termina
qui la lunga testimonianza da noi tratta dal volume Gli
ebrei sotto l’occupazione italiana
di Leon Poliakov e Jacques Sabille edita a cura del “Centro di
documentazione ebraica contemporanea’. Da quanto sopra riportato
emerge chiaramente che la gigantesca operazione di salvataggio fu
dovuta non solo all’alto spirito umanitario dei soldati e
diplomatici italiani, ma anche e soprattutto a precise direttive
emanate dal governo fascista per ordine di Mussolini.A
conferma di ciò ecco quanto dichiararono, nel corso di due
interviste concesse al settimanale Gente
(n.
7 del 28 aprile 1961) il generale dei carabinieri Giuseppe Pieche e
il generale di Corpo d’armata Alessandro Pirzio-Biroli. Il generale
Pieche che, scoppiata la seconda guerra mondiale, dopo essere stato
comandante della divisione dei carabinieri di Napoli, era stato
incaricato dal ministero degli Esteri di tenere in collegamento tra
loro le ambasciate italiane nei Balcani, ha detto: «In
base a quest’ultimo incarico posi la mia sede ad Abbazia verso la
fine del 1942. Un giorno, mi sembra all’inizio del 1943, venne a
trovarmi in signor Gaddo Glass, un israelita commerciante di legname,
se ben ricordo. Gaddo Glass era accompagnato da un altro signore, il
commendator Zuccolin, che abitava ad Abbazia in una villa accanto a
quella dove avevo preso alloggio io. Glass era un uomo sulla
cinquantina, alto e grosso. Mi pregò a mani giunte di intervenire a
favore di circa tremila ebrei di nazionalità jugoslava, uomini,
donne, bambini, che si trovavano rinchiusi in un campo di
concentramento a Porto Re, presso Buecari.«Disse
Glass che i tedeschi avevano chiesto a Mussolini la consegna di tutti
i rinchiusi. Avevano già preparato i treni e Mussolini aveva
aderito, apponendo la sua firma al documento di consegna, che doveva
avvenire entro pochi giorni. Per quegli sventurati essere consegnati
ai tedeschi significava andare incontro a morte sicura. Feci presente
che non avevo nessuna veste ufficiale per intervenire in un caso del
genere, e che non era facile che il Duce retrocedesse da decisioni
già prese. Comunque promisi che avrei fatto tutto quello che era
umanamente possibile fare. Compilai un rapporto, adoperando
espressioni molto decise. Scrissi che non si doveva macchiare la
nostra bandiera con azioni del genere. Sapevo che mi stavo giocando
la carriera ma sapevo, anche, che Mussolini non aveva il cuore
cattivo. Sapevo, inoltre, che il modo migliore di convincerlo era
quello di mostrarsi decisi, di non mostrare timore. Unii al rapporto
una lettera personale per Ciano, affinché, come ministro degli
Esteri, lo consegnasse personalmente a Mussolini. Inoltre, dato che
in quei giorni, il generale Roatta, che comandava la Seconda armata
con sede a Susak, si recava a Roma, lo pregai di perorare la causa di
quei tremila ebrei presso il Comando supremo. Dopo pochi giorni mi
recai anch’io a Roma per sollecitare vari provvedimenti, ma
soprattutto la soluzione della drammatica situazione di quei tremila
sventurati. Speravo che da quella azione concomitante sarebbe
scaturita la loro salvezza. Io non so come Mussolini accolse il
sollecito. Mi mancano i particolari. So però che dopo alcuni giorni
giunse l’ordine di mettere i tremila ebrei a disposizione del
comando italiano: essi, cioè, non passavano più ai tedeschi ed
erano salvi. Gaddo Glass venne a tro-varmi. Aveva le lacrime agli
occhi per la commozione. Mi ringraziò come solo può fare chi
conosce il valore del beneficio ricevuto. Io, debbo dire, non ebbi
occasione di vedere, allora, quei tremila ebrei. Molti di loro, però,
mi scrissero, anche a guerra finita. Gaddo Glass stesso, a Milano,
partecipò alla cerimonia per la consegna della medaglia d’oro di
cui la comunità ebraica volle insignirmi"
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