giovedì 22 novembre 2012
Il
dio Moloch, com’è noto, era una divinità sanguinaria, adorata dai
Cananei, che avrebbero usato sacrificare ad essa i propri figli,
ardendoli nel fuoco. Il suo ricordo ricorre più volte nella Bibbia,
ove, tra i comandamenti sinaitici, figura esplicitamente, nel
Deuteronomio (18.10), quello di non fare passare i figli attraverso il
fuoco, a imitazione della pratica in uso presso i precedenti abitanti
del Paese. Ma la barbara usanza appare attribuita dalle fonti anche a
svariate altre popolazioni antiche, come, per esempio, i Cartaginesi
(anche se, in tal caso, si tratta, probabilmente, di un’invenzione
della storiografia romana, atta a mettere in cattiva luce la potenza
nemica).Il dio Moloch ci è tornato alla mente nel guardare, in questi giorni,
le immagini dei bambini di Gaza. Bambini riuniti in scuole, asili e
palestre dai cui tetti i terroristi di Hamas lanciano, quotidianamente,
i loro messaggini di saluto indirizzati alle scuole, gli asili e le
palestre dei loro vicini israeliani. Bambini allevati, fin dalla più
tenera età, in una cultura nichilista, secondo la quale il valore della
vita umana è zero, chiuso esclusivamente nell’imperativo religioso di
dare la morte, o riceverla. Bambini destinati al sacrificio, in modo da
potere, col loro sangue, concimare l’infinita ripugnanza verso il
mostruoso nemico annidato, spaventoso e invisibile, a pochi chilometri
dalle loro case. Se colpiti, i loro piccoli corpi, avvolti in bandiere
nazionali, saranno avidamente ripresi dalle telecamere, e le loro
esequie avranno una straordinaria risonanza mediatica: l’intero mondo
sarà testimone delle loro vite troncate, perché tutti possano
partecipare al rito collettivo del loro sacrificio. E saranno privati
perfino delle lacrime delle loro madri, a cui sarà ordinato di
trasformare il dolore in rabbia, odio e invettiva (con la proibizione,
ovviamente, di maledire i veri responsabili della loro fine). Se
risparmiati dalla guerra, saranno in ogni caso destinati a un’esistenza
miserabile, priva di colori, libri, giochi, e piena di missili, urla,
sirene. Bambini che suscitano tutti – vivi e morti, quelli che vivranno
e quelli che moriranno – infinita pena, infinita tristezza, infinita
pietà.“Il giorno in cui ameranno i loro bambini – disse Golda Meir,
quarant’anni fa – più di quanto odiano noi, quel giorno avremo la
pace”. Non sappiamo se, nel pronunciare queste parole, così tristi e
così vere, la grande Golda sperava, in cuor suo, che tale giorno
sarebbe mai arrivato, se non nel suo secolo, almeno in quello
successivo. Oggi, purtroppo, i fatti ci dicono che l’odio verso Israele
è cresciuto, e i loro bambini, anziché essere amati, vengono nuovamente
consacrati al dio dei Cananei. Francesco
Lucrezi, storico http://www.moked.it/
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