sabato 17 novembre 2012
Il miracolo di Grossman
C’è
qualcosa di straordinario nel modo in cui i lettori italiani accolgono
David Grossman. Non solo per l’affetto e il calore che lo circondano,
ma anche perché almeno di fronte a lui si lasciano da parte una volta
tanto le discussioni, i litigi e le polemiche sulla politica
mediorientale e si parla dei suoi libri. Pare quasi che i lettori si
dimentichino che è israeliano e vedano in lui semplicemente un grande
scrittore. Mi ha colpito per esempio una classe di miei allievi: di
fronte alla proposta (venuta da loro) di leggere tutti insieme un libro
di Grossman abbiamo dovuto risalire a Ci sono bambini a zigzag del’94
perché molti di loro avevano già letto tutti i più recenti, e nella
discussione che ne è seguita non si è sentito nessuno dei commenti un
po’ malevoli verso Israele che pure erano venuti fuori ampiamente nel
contesto non meno inopportuno della Giornata della Memoria. Ancora più
straordinaria è stata ieri sera al Circolo dei lettori di Torino la
presentazione del suo ultimo libro, Caduto fuori dal tempo. In un
momento così difficile per Israele, in cui, tanto per cambiare, nessuno
risparmia critiche feroci, confesso di aver temuto che la presentazione
di Grossman sarebbe stata contestata o almeno trasformata in una
discussione politica. Invece per fortuna non è accaduto nulla di tutto
questo. Forse anche perché la grande affluenza di pubblico (più di
un’ora di coda non bastava a garantire l’ingresso nella sala
principale) ha selezionato i lettori più affezionati e tenuto fuori
eventuali partecipanti occasionali pronti ad attaccar briga. Forse in
parte anche per rispetto verso la terribile esperienza della perdita di
un figlio vissuta dallo scrittore, e forse anche perché il libro parla
proprio di quello. Ma c’è di più: con i miei allievi – e ancora di più
ieri sera – ho avuto l’impressione che a Grossman sia riconosciuta una
grandezza che va al di là di ogni identità e appartenenza specifica,
una capacità, propria dei grandi scrittori, di parlare a tutti in ogni
luogo e in tutte le epoche (del resto lo scrittore stesso ha presentato
come uno dei vantaggi del proprio mestiere la possibilità di
immedesimarsi in personaggi diversi con diverse identità). Una capacità
che si è percepita in modo evidente dal silenzio assoluto, quasi
palpabile, che ha accompagnato la lettura da parte di due attori delle
pagine iniziali, bellissime e terribili. Anche una pagina in ebraico
letta da Grossman stesso è stata accolta in un silenzio religioso, come
se quelle parole, pur incomprensibili per quasi tutti, avessero in sé
una forza misteriosa. Proprio da una parola ebraica è partita la
presentazione: “shakul”, che indica chi ha perso un figlio, parola
inesistente in molte lingue (tra cui la nostra); forse - dice Grossman
- non è stata coniata perché si pensa che sia troppo terribile. Il tema
delle parole è tornato più volte: per l’autore la stesura del libro,
trovare le parole, è un modo per togliere lo straniamento tra lui e ciò
che è successo, per autodeterminarsi, per rendersi conto che c’è uno
spazio di manovra. Tra le altre cose, a proposito di identità, lo
scrittore ha messo in guardia dal il rischio di autodefinirsi sempre in
relazione a qualcun altro (così la frase è stata tradotta, ma in
inglese suona contro qualcun altro, che è ancora più forte); un monito
che merita di essere tenuto presente in molti contesti.Anna Segre, insegnante,http://www.moked.it/
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